Cade, abbattuto dai manifestanti, un altro “albero di latta”, símbolo del potere che regge il trono sandinista del presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, satrapo veterocomunista, ricattato dalla sua ambiziosa ed esoterica moglie e vice-presidente Rosario Murillo fin dai tempi in cui sua figlia lo accusó di abusi sessuali durante la sua adolescenza.
La protesta é iniziata giovedí 19 aprile, con un piccolo gruppo di pensionati e di giovani che protestavano per un decreto legge che tagliava drasticamente le pensioni, per cercare di sanare la crisi dell’Istituto Nicaraguense di Sicurezza Sociale INSS, una delle piú corrotte istituzioni dello stato.
Mezz’ora dopo, polizia e paramilitari del governo sandinista li assalirono a colpi di bombe lacrimogene, calci e pugni, rubando anche cineprese e macchine fotografiche dei pochi giornalisti presenti.
Come la goccia che fa traboccare il vaso, la sera stessa alcune centinaia di studenti iniziarono a manifestare davanti ai portoni delle loro Università e la repressione immediata causò le prime vitime.
Domenica 22, dopo soli quattro giorni di proteste, sono ormai migliaia le persone in piazza e lungo le strade di Managua e tutte le principali cittá del Nicaragua. Si sepelliscono i morti, che sono giá piú di 30, si stringono alleanze tra societá civile, studenti, imprenditori, pensionati e vescovi. Intanto le forze dell’ordine ed i paramilitari sparano sulla folla e prendono d’assalto anche le chiese, come denunciato da parroci e vescovi.
Nessuno pensa piú solo alla riforma dell’INSS, ma alla corruzione imperante, al furto di centinaia di migliaia di dollari donati dal Venezuela ed usati per arrichire i maggiori esponenti del Partito Sandinista, al controllo del 98% dei mezzi di comunicazione da parte della famiglia Ortega Murillo, ai vergognosi brogli elettorali che mantengono Ortega al potere, alla censura ed alla repressione di ogni voce discordante, ad un potere assoluto ed onnivoro che ripete e ricorda gli anni bui della dittatura della famiglia Somoza, che la rivolta armata sandinista fece crollare nel 1979, alle promesse della rivoluzione di allora che oggi appaiono ancor piú una presa in giro, nel paese piú povero di tutta l’America Latina…
Nessuno crede al dialogo con Daniel Ortega, annunciato minacciosamente con accanto il suo consuocero, Capo dell’Esercito, e la Capo della Polizia. In un discorso al limite della farneticazione, Ortega ha parlato della guerra degli anni ’80, della pace e della manipolazione a cui sarebbero sottoposti quelli che protestano. Non ha detto una parola sui morti. Il rifiuto al messaggio é stato generale e si é espresso in comunicati ufficiali di istituzioni pubbliche e private, nazionali ed internazionali.
Le condizioni che tutti richiedono, dagli studenti agli imprenditori, per iniziare il dialogo sono che cessi immediatamente la repressione, che si liberino tutti gli arrestati e che si aprano le porte ad un nuovo processo per un Nicaragua realmente democratico.
Ortega é solo. Anche il Papa Francesco, nell’Angelus, ha espresso la sua preoccupazione per questa repressione. Al fianco del dittatore solo Venezuela, Bolivia ed Ecuador come ultimi rappresentanti del “socialismo del secolo XXI”, nome roboante che ha dato il defunto presidente venezuelano Chavez all’ennesivo disastro sociale ed economico della sinistra latinoamericana. Russia ed Iran osservano da lontano: forse appoggiano, ma tacciono.
A Daniel Ortega tocca la decisione se rinunciare o bagnare di sangue le strade del Nicaragua.