“Il vivere consiste in un nulla che cerca qualcosa” così, in uno dei suoi fulminei aforismi Christian Morgenstern. Aforisma che mi viene incontro da fb. Dalla pagina di F. G., un amico, per molti versi uno dei miei maestri. Che non nomino, perché non so se ne avrebbe piacere. E perché io sono stato un pessimo allievo.
E poi non è mia intenzione parlare della vita o dell’opera di questo, grande e miscononosciuto, poeta e drammaturgo. È solo questa frase che mi interessa. Anzi, questa immagine. Il nulla che cerca qualcosa.
Se ci pensate è immagine possente. Il nulla. Qualcosa difficile, anzi praticamente impossibile da rappresentare. Una nebbia fitta, come nella mitica Nibelheim, la Terra dei Giganti del mito norreno. Un vuoto oscuro e divorante. Da cui possono emergere solo potenze di distruzione. Quelle che si scateneranno allorché Loki chiamerà la danza delle spade. E il nostro tempo sarà consumato.
Morgenstern era tedesco. E conosceva bene questi miti. L’Edda. Eppure intuisce che il Nulla è in noi. È la nostra sostanza, quella che, illudendoci, chiamiamo vita. E che, nella realtà ordinaria, è solo un consumare le ore. Uno scorrere del tempo. Kronos, per i greci, che divora i suoi figli.
Michael Ende ha rivisitato lo stesso tema in quella, stupenda, fiaba che è “La Storia infinita”. Fabula magica, che ci porta su di un piano imaginale dove la quotidianità si risolve in forme fantastiche. Che ne rivelano il mistero profondo. Lessi il libro moltissimi anni or sono. Il dono di una ragazza, credo, ma potrei sbagliare. Solo molto dopo vidi il film, con Peter Falk nella parte del nonno narratore. Mi è restato impresso. Soprattutto per l’idea che dietro a ciò che ci appare vi sia altro. Un Cosmo di simboli viventi. Magico. Di esseri meravigliosi. Che il nostro Nulla tende a divorare.
Non so se Ende, anche lui tedesco, conoscesse l’opera di Morgenstern. Certamente entrambi conoscevano Steiner. E il poeta ne era stato, a suo modo, discepolo.
Ma questo nulla, che è la vita, tende a cercare, divenire… qualcosa. Indeterminato. Senza attributi o aggettivi. Solo… Qualcosa. Perché il paradosso è proprio che la vita è il nulla. Ovvero ciò che nega la vita stessa. Il suo annichilimento. Di qui la paura della morte. Tanto più ossessiva, quanto più non si comprende che la vita è nulla. Quindi è già morta. E la morte non è che un suo volto. Quello che temiamo e rifiutiamo. E così facendo non riusciamo mai a raggiungere quel “qualcosa” cui, nelle sue profondità, la vita tende. Quindi sprechiamo il nostro tempo. Ciò che vediamo intorno a noi in questa epoca ne è solo la forma parossistica
Ma il Nulla è come il mozzo della ruota, ci dice Lao Tzu. Che fu maestro del paradosso, prima dello Zen. E prima degli Stoici. Ed è il paradosso la chiave per comprendere. Perché libera la nostra mente dalle pastoie della razionalità ordinaria. E superficiale. Penso che il “Credo quia absurdum” volesse indicare una strada affine.
Il mozzo della ruota è vuoto. Ma senza quel vuoto non vi sarebbe alcuna ruota. Così come senza pause non vi potrebbe essere armonia. Musica. E senza spazi bianchi, la pagina sarebbe solo un insensato succedersi di lettere.
Il Cosmo si genera dal Caos. La vita è un nulla ci dice il poeta tedesco. Ma cerca, tende ad essere… qualcosa.
Purtroppo, ce ne siamo dimenticati. E temiamo disperatamente di perdere…. niente. Perché nulla abbiamo. E quindi nulla possiamo perdere.
Paradossi in una sera, piovosa, di Settembre. Quando fuori già e tenebra. E dentro malinconia.