Secondo un’analisi della Caritas Ambrosiana, il Covid ha creato in soli quattro mesi a Milano 9 mila poveri. Si tratta soprattutto di giovani, donne e immigrati abbastanza giovani, sono infatti di età compresa tra i 35 e i 54 anni; un terzo di loro non è nemmeno riuscito a fare la spesa alimentare e a pagare bollette e affitti, anche se ha avuto diritto alla cassa integrazione.
“Gli ammortizzatori sociali si sono rivelati strumenti troppo deboli e inefficienti. Le indennità sono arrivate troppo tardi e sono state comunque troppo modeste per il costo della vita specie a Milano. In vista di nuove chiusure che si profilano per contenere la nuova ondata di contagi andrà tenuto presente. Se non vogliamo che la crisi sociale esploda in maniera conflittuale dovremo rivedere il sistema di aiuti”, ha commentato Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana.
Alla vigilia di una fase di politica finanziaria diretta all’assorbimento dello shock prodotto dall’emergenza Covid-19, è doveroso pensare a un piano di riforma dell’imposizione sui redditi strutturale e ambiziosa, capace di incanalare le energie del sistema lungo la strada della ripresa, attraverso uno sforzo che si prevede lungo e difficile. Inutile soffermarsi sulle proposte estemporanee, sui provvedimenti tampone, sulle politiche a strappo. Necessario, invece, pensare a una macchina efficiente, destinata a durare, e capace di assicurare un recupero del terreno perduto, consolidando la spinta solidaristica nata dalla prova collettiva, che una ricaduta nelle inconcludenze della vigilia disperderà in poco tempo.
Le immagini delle città devastate, delle vetrine rotte non possono oscurare le ragioni di chi, in questi giorni, scende in piazza pacificamente per esporre tutta la preoccupazione verso un nuovo lockdown. Le manifestazioni violente hanno fatto più notizia rispetto a quelle pacifiche di migliaia di partite iva, ristoratori, cuochi e camerieri.
Dopo il primo lockdown, questo per molti si potrebbe tradurre in bancarotta. Conte promette che con il Decreto Ristori arriveranno i fondi per gli operatori dei settori coinvolti dall’ultimo DPCM. Il vero dramma è che nell’ambito della ristorazione sono presenti molto lavoratori in nero. Una ricerca condotta dal Gambero Rosso, mette in evidenza che oltre la metà dei lavoratori nel settore non ha un contratto in regola. Dati Istat e un rapporto dell’Ispettorato del Lavoro ci danno l’idea delle dimensioni del fenomeno del lavoro sommerso nel nostro Paese.
Il decreto ristori, come tutte le misure prese finora da questo governo per contrastare l’emergenza Covid, è un tampone ma non una soluzione all’emergenza. Il Dpcm del 24 ottobre ha gettato nella disperazione migliaia di imprese già stremate dal primo periodo di lockdown. A loro il governo si limita a dare un contributo a fondo perduto di un importo decisamente contenuto rispetto alle perdite di fatturato. Il governo, inoltre, ha dimenticato le aziende che non sono state chiuse per decreto ma che facevano parte dell’indotto di quelle colpite dalle restrizioni dell’ultimo DPCM. Anche per loro vanno previsti aiuti e ristori. Numerosi altri settori subiranno poi l’effetto negativo del DPCM, anche se non citati direttamente nel provvedimento. La restrizione alla mobilità sarà un duro colpo per tutta la filiera turistica, da noleggio con conducente e bus turistici ad agenzie di viaggio, guide e accompagnatori, animatori, fino alle attività ricettive alberghiere ed extra alberghiere.
La pandemia ha evidenziato in modo netto le tante storture del mondo del lavoro, delle politiche sociali ed economiche miopi e dannose, e ora si presenta il conto per tutti: dagli studenti ai giovani lavoratori, fino a chi è a un passo dalla pensione.