In un tempo lontano, quando i partiti si occupavano persino di politica, prima di scegliere il segretario ci si confrontava su una linea politica, su una visione della società, su progetti strategici. Roba vecchia. Il Pd – ma quanto è avanti! – individua un segretario e poi, con calma, penserà a cosa dovrà fare il nuovo leader del partito. Che, non a caso, rappresenterà l’usato sicuro: Enrico Letta.
Sì, proprio l’ex presidente del consiglio preso in giro dal bugiardissimo Renzi. Un premier, Letta, ricordato non per ciò che ha fatto (ma ha fatto qualcosa?) ma per il tweet “Enrico stai sereno” con cui Renzi gli ha scavato la fossa. Ora, per il Letta nipote, è arrivata l’ora della vendetta. Lui a guidare un Pd in crisi, ma pur sempre il terzo partito sulla base degli ultimi sondaggi. E l’altro, Renzi, a navigare sulla soglia del 3%. Matteo, che si credeva Machiavelli, assomiglia sempre di più al Valentino. Cinico, spregiudicato, sleale, ma infine perdente.

Mai darlo per finito, però. Perché i renziani lasciati al Nazareno, come le uova del drago di Buttafuoco, possono sempre schiudersi e colpire nuovamente il povero Enrico. Giovane/vecchio democristiano costretto a guidare un Pd che si sposta verso sinistra non per scelta strategica ma per l’incapacità di individuare un percorso autonomo. Dunque costretto a seguire le boldrinate, le assurdità dei pentastellati, le imposizioni di una sinistra interna che spara alto per far sapere di esistere.
Ma tutti con la speranza che Sua Divinità getti un’occhiata di compatimento al foglio con le richieste del Pd prima di appallottolarlo e lanciarlo nel cestino.
Idee zero, però Letta è tanto perbenino, parla meglio del grezzo Zingaretti, non è un adoratore della D’Urso, non va a fare lo scemo sui Navigli con l’aperitivo di ordinanza. Non è granché, nel complesso, ma quando mancano i cavalli corrono anche gli asini.