Le esternazioni delle varie tifoserie elettorali hanno dimostrato una cosa per altro nota in ambienti purtoppo ristretti: che il pensiero – detto in maniera un po’ aulica, l’elaborazione concettuale – è morto. L’agonia è stata lunga, e quello che vediamo è solo la mummificazione di un decesso da tempo certificato.
La faccenda è complicata, meritevole di un saggio a parte, ma vedrò di farcela in poche righe.
Dall’irritazione di Calvino sull’uso superficiale, stravagante e grossolano del linguaggio, alla decadenza del linguaggio letterario per Pasolini fino alla denuncia del gravissimo impoverimento lessicale denunciato da Tullio De Mauro, la comunicazione personale, sociale e politica si è ridotta a informazione, annunci e slogan.
In un circolo drammaticamente vizioso, con la perdita della consistenza rigorosa della lingua è venuta meno anche la capacità di produrre e sviluppare il pensiero: meno parole uguale a meno pensieri, è un dato incontrovertibile.
È l’eterna, e forse mai compresa differenza, tra istruzione e cultura, e la dimostrazione è data dal fatto che gli italiani sono al posto più basso in classifica nella comprensione di un testo scritto. Si potrebbe già concludere qui, se non fosse che la presunzione dilaga pur nell’assenza totale di quella capacità critica che solo una competenza culturale e linguistica rende efficace e razionale.
La povertà lessicale è la base per riduzione dell’elaborazione del pensiero; dalla scadente maturazione cognitiva deriva la paralisi del senso critico; dall’inerzia della analisi scaturisce la presunzione interpretativa; dall’arroganza onnicomprensiva si alimenta la negazione del dubbio; dal disconoscimento dell’incertezza valutativa nasce l’onnipotenza narcisistica.
Il risultato finale è il cretino, anzi – per rubare un concetto di Marinetti – un cretino con lampi di imbecillità.
Credo, come già altre volte affermato, che siamo all’apoteosi della democrazia realizzata, con buona pace di politologi e di sociologi contemporanei.
Una non-politica che ha vinto grazie alla mancanza di programmi definiti e non negoziabili. Una non-politica che si rinforza proprio per la sedazione del sentimento comunitario. Una non-politica che sguazza nell’omologazione progettuale e che si esprime in una continua diluizione degli entusiasmi e della mobilitazione. Una non-politica che è già la seconda R del Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza: da un lato, una massa ipnotizzata da qualche pifferaio più o meno magico; dall’altro, una massa rassegnata e indifferente ad ogni possibilità di reazione.
Il potere ha vinto, ma non è quello del balletto che si esibisce sul palcoscenico della cronaca, ma è quello che tira i fili dalla nascosta cabina della Storia.