Cambiati gli uomini, per ottenere la fiducia da un Congresso in cui è minoranza, non cambiano i programmi del nuovo esecutivo peruviano guidato da Pedro Castillo. Come anticipato agli inizi di agosto dal fondatore di Perù Libre, l’ex governatore della regione di Junín Vladimir Cerrón, la nazione andina ha annunciato l’uscita dal Gruppo di Lima per bocca del proprio ambasciatore presso l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa).
Harold Forsyth, questo il nome dell’ambasciatore, ha sottolineato come la nascita dei negoziati in Messico tra il presidente venezuelano Nicolas Maduro e l’opposizione alla maggioranza chavista abbiano completato la fase per la quale era sorto il blocco di Paesi del continente americano, aggiungendo che la sua esperienza in Norvegia per i ben più delicati colloqui tra lo stato colombiano e il gruppo guerrigliero di matrice comunista delle Farc fanno propendere per un risultato efficace in grado di sancire come il Gruppo di Lima sia nella condizione di aver completato lo scopo per cui era sorto nell’agosto del 2017.
Da parte sua il nuovo ministro degli Esteri ha sottolineato come le relazioni tra Perù e Venezuela non si siano mai interrotte ricordando che, insieme a Norvegia, Russia e Olanda, anche il Perù partecipa attivamente ai negoziati in corso in Messico.
Nulla è cambiato quindi in politica internazionale dopo le dimissioni di Héctor Béjar da Torre Tagle (sede del ministero degli Esteri). Ad interrogarsi sull’utilità e il futuro del Gruppo che non potrà più essere di Lima (capitale del Perù) dovrà essere ora la Casa Bianca che in meno di un anno aveva perso l’appoggio alla stretta contro il Venezuela già da parte di Messico, Argentina e Bolivia e difficilmente potrà sostituire a breve questi Stati con altri dato che il vento social-populista ha ripreso a soffiare in tutta l’America latina.