Meno male che il Covid c’è. La conferenza stampa del Consiglio regionale del Piemonte ha ricordato che si è già arrivati a metà mandato. Ed il presidente Stefano Allasia ha elencato tutta l’attività svolta dai consiglieri. Poi sono intervenuti i vicepresidenti sottolineando quanto la mala gestione della pandemia abbia bloccato i programmi del Consiglio. Peccato che l’elenco delle iniziative soppresse abbia fatto sorgere il dubbio che, in fondo, buona parte potrebbe essere cancellata definitivamente senza che i piemontesi abbiano a soffrirne. Forse patirebbero i consiglieri, ma potrebbero farsene una ragione e si garantirebbero notevoli risparmi.
Ma se, perlomeno, Allasia può vantare una consistente attività legislativa, è molto più imbarazzante il consuntivo di metà mandato del governo regionale. Due anni e mezzo senza uno straccio di cambiamento sostanziale. Il triste tran tran, la più banale routine. Non uno slancio, un progetto epocale, un intervento strategico. Si procede stancamente sulla strada del passato. Peccato che fosse una strada che non portava a nulla.
Da “aspettando Godot” ad “aspettando il Pnrr”. Con progetti banali, con la prospettiva di un ruolo sempre più marginale. Perché l’inserimento fisico del Piemonte – grazie alla Torino Lione – in un sistema internazionale comprendente Lombardia, Liguria e le regioni transfrontaliera francesi, rischia di evidenziare ulteriormente l’arretratezza subalpina. Priva di una adeguata vocazione industriale, priva di una decente politica culturale, priva di una sufficiente attrattività turistica, priva di un terziario d’avanguardia. Non basta far parte di quella che Giachino definisce “Tav Valley” per esserne protagonisti. Si rischia di essere solo la ruota di scorta di territori più dinamici.
Allasia ha chiuso il suo intervento sostenendo che si è arrivati al giro di boa e, come in acqua, si deve invertire la rotta. Si deve e si può. Il governo regionale, però, pare non accorgersene. O non è in grado di invertire la rotta. Il che è anche peggio.