Ormai a rivendicare l’antifascismo sono rimasti solo Lollobrigida e parentele varie. Il politicamente corretto ha scelto: la priorità spetta ora al lgbtq+. Dunque si può trasformare in film il racconto “La bella estate” che Cesare Pavese scrisse nel 1940, anche se venne pubblicato 9 anni più tardi. Un racconto in cui figurano anche le adesioni alle manifestazioni di regime. Ma poco importa ai sostenitori della cancel culture: Pavese non solo descrive un bacio saffico, ma fa espliciti riferimenti a rapporti lesbici.
Oddio, ma come poteva succedere in epoca fascista, descritta dai fenomeni parastatali come era del bigottismo imperante, della moralità assoluta, della feroce repressione di tutto ciò che esulasse dalla famiglia?
Certo, avevano dovuto ammettere che la moralità famigliare non rientrava proprio tra le prerogative del Duce. D’altronde neppure tra quelle di D’Annunzio e dei legionari fiumani. Ma Fiume rappresentava un momento libertario della componente anarcosocialista che sarebbe confluita nel fascismo ma non in toto. E poi il Duce ed i gerarchi erano in una situazione diversa rispetto al popolo italiano.
Ma arriva Pavese e racconta che, in realtà, la verginità non era fondamentale neppure per le ragazze del popolo. Neppure a 16 anni. Non lo era mai stata nelle campagne neppure un secolo prima e le città del Nord si erano popolate con l’arrivo di montanari e contadini. E la Torino di Pavese, anche se la città non viene mai nominata, accoglie artisti e sedicenti tali. Anche sfaccendati che si arrabattano alla meno peggio per sopravvivere. Persino stranieri. E le ragazze, tutte le ragazze protagoniste del racconto, lavorano. In fabbrica, negli atelier.
Insomma, in poche pagine – il racconto è breve – Pavese sfata tutti i luoghi comuni degli storici a gettone e dei giornalisti a servizio. Se se ne accorge Lollobrigida, entusiasta dei liberatori, chiede a Sangiuliano di togliere il film dalle sale e il libro dalle biblioteche. Ma che il ministro cognato miracolato legga un libro di Pavese è, oggettivamente, improbabile.