Il primo voto “col Covid19” è passato. Aldilà dell’esito politico delle elezioni regionali e del referendum confermativo del taglio dei parlamentari, emerge un bilancio tutto sommato negativo da questa esperienza di cui si dovrà tener conto per le prossime scadenze elettorali.
In primo luogo, va registrata la massiccia rinuncia di coloro che erano stati nominati per svolgere il servizio elettorale, a cominciare dai presidenti di seggio: nella sola Torino, non si sono presentati ai seggi ben in 500, ossia più della metà, sostituiti da altrettanti dirigenti dell’amministrazione cittadina strappati al loro lavoro e al riposto settimanale previsto dal contratto, cui avranno diritto di recupero nei prossimi tempi, con un costo economico e operativo notevole per la Città. A questi si sono aggiunti circa 1500 scrutatori assenti alla chiamata per la costituzione delle sezioni elettorali, quindi circa un terzo degli incaricati, cui si è dovuto provvedere con l’affannosa ricerca fra i nuovi volontari. Infine, anche i rappresentanti di lista sono stati pressoché invisibili, salvo quelli del M5S che probabilmente era l’unico partito interessato al referendum.
Però, se si sommano i costi complessivi della consultazione (normalmente intorno ai 300milioni di euro) ai costi aggiuntivi dovuti alla forzata sostituzione dei membri dei seggi con personale pubblico che recupererà la giornata lavorativa e festiva con altrettanti permessi retribuiti da sfruttare in seguito, ecco che la somma spesa totale si avvicina già al presunto risparmio che la riforma approvata dovrebbe apportare alle casse dello Stato. Ma anche la democrazia ha i suoi costi…
Tornando però al tema originario, ossia il voto col virus, ci sono diverse cose da notare. Quasi tutti gli elettori che si sono recati alle urne (il 53% per il referendum e il 57% alle regionali) erano ben informati sulle modalità di accesso e di comportamento: igienizzarsi le mani tre volte, all’ingresso nella sala del voto, dopo aver consegnato i documenti per il riconoscimento e dopo aver votato e rilasciato la matita, sempre con la mascherina indossata correttamente. Purtroppo, però, in nessun plesso dedicato al voto si è potuta misurare la temperatura di chi giungeva, differentemente da quanto avviene in tutti i luoghi di lavoro, negli uffici privati, sui treni, negli hotel e in altri luoghi pubblici e privati: peccato, perché poteva essere un momento ideale per “scovare” altri asintomatici e procedere alla conseguente procedura di indagine dei contatti. Invece così si è permesso al Covid19 di circolare liberamente fra i votanti, i membri incaricati ai seggi, le forze dell’ordine ivi presenti e a tutti gli altri coinvolti dalla macchina elettorale.
Ma la paura del virus ha modificato in parte anche le abitudini di molti. L’assenteismo dei votanti è stato alto e molti presidenti di sezione hanno scelto come segretario un proprio parente diretto, moglie, marito, figlio (i cd. “congiunti”) al posto del solito segretario, sia per rinuncia di costui, sia per limitare al massimo i rischi. All’interno dei plessi scolastici dedicati al voto, quasi tutti hanno vissuto uno stato d’animo ansioso, dovuto sia alla paura del contagio invisibile, sia al riflesso condizionato di alzarsi la mascherina di fronte a qualsiasi persona si avvicinasse per parlare. Molti elettori si sono persino premuniti di guanti usa e getta prima di accedere alla sala del voto, mantenendo un incedere guardingo nei confronti di chicchessia, seguendo le strisce indicate a terra per veicolare il percorso degli avventori, persino evitando contatti con amici o vicini di casa incontrati casualmente al seggio. In generale, il distanziamento fisico si è accompagnato a quello mentale. Davvero una situazione surreale e triste…
Così come molto triste è stato il dato anagrafico dei votanti: in gran parte anziani, seguiti dai più giovani, mentre è stata praticamente assente la fascia degli adulti in età di lavoro (che secondo gli exit polls sono coloro che hanno votato maggiormente per il NO!). Questo dato è complesso e significativo allo stesso tempo: indica la totale disaffezione della parte attiva della società verso la politica e in generale i problemi comuni, evidentemente presi dalle difficoltà quotidiane e dalla crescente crisi economica che incombe sul paese proprio a causa del covid19; se il dato del voto è credibile, questa parte di popolazione votante non ha alcun tipo di relazione con il ceto politico (la cd. “casta”) e ne respinge ogni iniziativa, persino quando questa sembri apportare un cambiamento contro la stessa classe politica (davvero non si era mai vista una proposta di legge che incidesse in modo negativo sui politici come questa!); infine, probabilmente la gran parte degli italiani di età media ha preferito trascorrere la domenica a riposare o a godersi gli ultimi tepori estivi, oppure dedicare il lunedì al solito tran-tran quotidiano, piuttosto che impegnarsi nell’esercizio del diritto di democrazia riconosciuto dalla Costituzione.
Viceversa, i giovani hanno dimostrato di credere ancora in questo paese, se non nell’attuale classe politica, e nella possibilità che una piccola riforma, se pur incompleta, possa realmente portare una speranza di rinascita per tutti. Gli anziani, invece, hanno svolto il diritto di voto con il solito spirito di dovere/sacrificio misto al senso delle cose importanti e della loro stessa vita: alcuni sono stati davvero commoventi nel loro incedere con passo incerto, affannato, lento, sorretti dai nipoti o dai figli, se non trasportati da una sedia a rotelle, spesso con una vista ridotta al minimo o la mano tremolante per la debolezza. Ma quei gesti invece hanno dimostrato grande forza morale e del senso di civiltà che ormai si è perso completamente in Italia.
Una risposta, dunque, alle incertezze che incombono sul paese a causa della crisi pandemica e delle sue conseguenze dirette sulla sfera economica e sociale. Come a indicare ai più giovani che, a volte, con una matita in mano, seppure debilitati dalle sofferenze, si può ancora scrivere qualcosa di importante per il futuro di tutti noi.