Abbiamo un problema!
Certo, ma quale?
La pandemia.
Troppo generico.
Le conseguenze della pandemia sono il timore che accompagna ognuno di noi. Ma qual è il problema?
A pretty large bang fu udito sull’Apollo 13,
No idea what had happened era la situazione dei 3 astronauti e del Centro controllo missione di Houston.
I 3 astronauti chiusi nella navicella, con scarsa visibilità e movimenti costretti – assetto proprio delle talpe – rappresentano tutti coloro che hanno udito l’esplosione (qualcuno si illude di non averla udita, finché …) e vengono sopraffatti dal timore per le conseguenze.
Il problema, quindi, non è l’esplosione.
Il problema è che l’esplosione è anche percepita come il problema, ma non è solo quello: è molto di più.
L’esplosione equivale alla curva dei contagi che si impenna: da qui il timore che colpisce ciascuno di contrarre la malattia, di essere stato in contatto con un malato, di essere a sua volta contagioso, di essere costretto ad astenersi dalle proprie attività, di vedere un proprio caro ammalato e di non poterlo accudire, di assistere alla sopraffazione della malattia.
Questi sono i timori di ciascuno, isolatamente inteso.
Ma qual è il problema collettivo?
Le precauzioni suggerite riguardano i comportamenti individuali: osservare le minime norme di igiene, mantenere le distanze dall’altro e non riunirsi in gruppi.
Anche la speranza nello scudo spaziale, il vaccino, ha una valenza individualistica: rendere ciascuno invulnerabile.
Ogni individuo teme e ogni individuo spera; la comunità dovrebbe essere il punto di forza: la forza del gruppo, della sintesi delle idee, della condivisione della conoscenza e della messa a fattor comune delle risorse e degli strumenti.
La comunità, qualsiasi, dovrebbe aiutare a superare le fragilità del singolo che spera atterrito e, fintanto che la speranza non diventerà realtà, avrà timore del presente e del futuro.
La comunità cui mi riferisco è collettiva: non è sufficiente che qualche singolo parli al plurale per fondare una comunità. E’ indispensabile che gruppi di persone portatrici di interessi oppure di sensibilità comuni propongano soluzioni e realizzino iniziative (non solo commenti) in cui ciascuno (qui, sì, individualmente) possa impegnarsi.
Ci provo. L’ingresso a scuola.
Finora abbiamo ritenuto che sia sano che gli studenti incomincino alle 8,00 il loro impegno mattutino e lo concludano intorno all’ora di pranzo.
Ci sono diverse ragioni per questa organizzazione: la mattina è il momento della giornata in cui le energie, fisiche e mentali, sono esaltate, la mattina è più luminosa, il pomeriggio è dedicato allo studio e ai compiti a casa, alla cura del benessere individuale attraverso attività sportive, musicali, linguistiche, ricreative.
In questo periodo è sorto il problema dell’affollamento dei mezzi di trasporto a inizio mattina che si vuole risolvere posticipando di almeno un’ora l’ingresso a scuola.
Non vi sembri esagerato ma il DPCM di ieri 18 ottobre è davvero un problema: spostando di un’ora in avanti l’avvio delle attività scolastiche, fermo (come deve essere) il calendario e l’intensità degli insegnamenti, si compromette la qualità del pomeriggio degli studenti (le lezioni pomeridiane in aggiunta a quelle mattutine) con ricadute sul loro rendimento a scuola (avranno meno tempo per studio e compiti a casa) e sulla loro formazione complessiva (sarà assai difficile che riescano a coltivare interessi e attività extra-scolastiche). Così si forma un esercito di talpe.
Il commento è che si sarebbe potuto conservare l’ingresso a scuola alle 8,00 e posticipare di un’ora l’inizio delle attività lavorative.
Ciò non è avvenuto e allora la proposta: continuare a fare iniziare la scuola a inizio mattina con l’impegno dei genitori a organizzare i trasferimenti dei ragazzi accompagnandoli in auto, ovvero mettendo a loro disposizione una bicicletta o un motorino (non proponete il monopattino …) in modo da lasciare la precedenza ai lavoratori per l’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico.
In questo modo, ritengo, la comunità dei genitori si impegnerebbe a garantire la qualità e l’intensità dell’impegno formativo degli studenti: certo, in altri momenti, criticheremmo l’uso prevalente dei mezzi di trasporto individuale, come sull’Apollo 13 non avrebbero avviato procedure di emergenza e magari non sicure, ma per non far fare ai 3 astronauti la fine della talpa, la comunità del Centro di controllo di Houston ha messo in campo tutte le sue energie e idee per riportarli a terra sani e salvi.
Magari possiamo provare a fare lo stesso per i figli studenti del nostro Paese.