Ma quanto è cattivo il governo che pretende di incentivare le auto che inquinano meno.
E, in questo modo, penalizza la Fca tanto italiana che sarà costretta a ridurre gli investimenti nel nostro Paese.
Perché? Perché Fca vuole utilizzare gli stabilimenti italiani per fabbricare i modelli che nel resto del mondo non piacciono più. Se non fossero a rischio migliaia di posti di lavoro ci sarebbe da ridere sulle patetiche reazioni non solo di Fca ma anche delle associazioni industriali e dei sindacati a fronte delle misure per ridurre l’inquinamento.
Gli stessi sindacati che, a bassa voce, ma proprio bassa bassa, avevano chiesto da anni a Fca di investire sull’auto elettrica.
Invece niente. A Marchionne non piaceva. Non importava che la Cina avesse deciso che il futuro doveva essere elettrico. Non importava che quello cinese fosse ormai il primo mercato mondiale dell’auto. Non importava che tutti i grandi costruttori automobilistici mondiali avessero avviato grandi progetti per l’auto elettrica, con enormi investimenti.
Fca no. E i governi dei poteri forti si guardavano bene dal favorire uno sviluppo della rete di distributori elettrici. Avrebbero aiutato i costruttori stranieri che i modelli elettrici li avevano già.
Dunque non se ne parlava neppure. Così a Detroit i vertici di Fca potevano dormire sonni tranquilli.
Ma ora l’introduzione degli incentivi e dei disincentivi cambia radicalmente la situazione e Fca rischia di pagare i ritardi accumulati.
E come reagisce il gruppo anglo-olandese-statunitense con stabilimenti in Italia? Certo non investendo per recuperare i ritardi, ma minacciando di tagliare i piani di rilancio e, ovviamente, l’occupazione. Il solito ricatto in stile Fiat, anche se oggi si chiama Fca ed il boss è straniero.
Come tanti cagnetti di Pavlov i vertici delle associazioni prenditoriali hanno iniziato ad abbaiare ed a ringhiare. Paradossalmente gli stessi che pretendevano di trasformare Torino nella capitale dell’innovazione, appena finito di vantarsi per quanto sono all’avanguardia si precipitavano a sostenere che il cambiamento è il male assoluto e che bisogna proseguire con i vecchi motori.
Basta con questa innovazione che favorisce chi investe, basta con gli sprechi di denaro per la ricerca. E se proprio si vuole cambiare, bisognerà ben accollare ai contribuenti italiani il costo dell’innovazione in Fca. Mica dovranno pagare gli azionisti.
Perché se il governo non si fa carico dei costi di Fca, il povero Manley sarà costretto a lasciare a casa i lavoratori. Soffrendo, s’intende. Così come soffre adesso che i lavoratori di Torino e Grugliasco sono in continua cassa integrazione perché i modelli vecchi non funzionano più.