Cosa significa la parola “Liceo”?
È, ovviamente, derivata dal greco antico, “lukèios”, traducibile sia come “lupo”, sia come “luce”… Ed era ( questo conta) un epiteto di Apollo.
Proprio nel piazzale antistante al tempio ateniese di Apollo Lykèos, nel 355 a. C., venne aperta una scuola. Da un signore che si chiamava Aristotele. E che Dante, nel Limbo (Inferno canto IV) definisce “il Maestro di color che sanno”. Proprio per la fondazione del Liceo. Dove si studiava, naturalmente, filosofia. Ma nell’accezione più ampia del termine. Ovvero, una sintesi, alta e armonica, di tutte le arti e tutte le scienze. Perché l’obiettivo era formare uomini pensanti. E, quindi, capaci di governare la pòlis, così come di dedicarsi alla poesia o alle scienze. Cose non affatto in contrasto fra loro.

Lo sapeva bene Giovanni Gentile. Che quando disegnò il suo progetto di riforma della scuola italiana, pose come vertice e cuore, proprio il Liceo. Più esattamente, quello che oggi, ancora, chiamiamo Liceo Classico. Poi c’erano i tecnici e i professionali. Che avviavano al mondo del lavoro. Ed erano ottime scuole, collegate con il mondo del lavoro e la realtà del territorio. Che davano certezza di occupazione, e che ebbero un ruolo importante nella crescita del nostro paese.
Ma il centro era il liceo. Che non preparava direttamente al lavoro. Non sfornava meccanici, geometri, ragionieri, agricoltori. Ma uomini in grado di pensare, di concepire la bellezza, di dare continuità alla nostra storia e alle nostre tradizioni.
Certo, uno poteva e ancora può fare tutte queste cose pur studiando in un istituto tecnico o professionale. Ma, in quel caso, è solo ed esclusivamente, merito suo. Non della scuola.
Il Liceo, invece, forma gli strumenti del pensiero. Insegna a capire le cose. A interpretare la realtà. Non ad arare i campi.
A questo punto, si sará capito che tutta questa filippica (dalle orazioni di Demostene contro Filippo di Macedonia, e poi da quelle di Cicerone contro Marco Antonio) viene fuori dopo aver sentito il Presidente del Consiglio, la Signora Giorgia Meloni auspicare un, futuro, Liceo del Made in Italy. Che formi al lavoro. E aggiungere che, per lei, il vero liceo è l’istituto agrario. Perché per noi italiani l’agricoltura è di primaria importanza.

Quindi noi non siamo più un popolo di poeti, santi, naviganti… ma di contadini e di stilisti…
Dante, Michelangelo, Leonardo e via discorrendo, sino al professore Rubbia, che ha fatto il liceo classico e ancora ne va fiero, non contano. O meglio, non servono. Perché non funzionali all’economia…
E, poi, aggiungo sottovoce, filosofi ed artisti, poeti e scienziati possono risultare anche fastidiosi. Perché magari tendono a pensare con la loro testa. E il Liceo, di fatto, prepara molti rompicoglioni. Che hanno la pessima abitudine di dire ciò che pensano. Giusto o sbagliato che sia. Ma al potere, oggi essenzialmente finanziario, e a chi lo serve questo dà comunque fastidio.
Mi si dirà che sto, al solito, esagerando. Però, vedete… ho assistito per quattro decenni al degrado della scuola italiana. Portato avanti da ogni governo, e con più decisione da quelli di sinistra. Alla progressiva riduzione del Liceo Classico a una sorta di riserva indiana. Al suo snaturamento. Alla licealizzazione, forzata e astratta, degli istituti tecnici. Che, per altro, li ha distrutti. All’invio di Dirigenti che manco sapevano che materie, al liceo, si dovrebbero studiare. E non parliamo dei nuovi docenti….

Ma affermazioni come queste, sinceramente, non le ho mai sentite. Non da D’Alema e Luigi Berlinguer… che per altro il liceo avevano fatto. E neppure dagli analfabeti a cinque stelle (non guida Michelin).
E vengno da chi, se non altro per provenienza politica, dovrebbe avere una visione un po’ diversa della funzione della scuola…
Il fantasma di Giovanni Gentile, con ogni probabilità, si sta agitando nella tomba.
Un’ultima domanda… i, cosiddetti, intellettuali (termine che mi ripugna) di destra non hanno niente da dire a tal proposito?
Mi pare che, sino a ieri, alzassero alti lai per la fine della cultura del Liceo…