“Scusi prof.” occhi glauchi inquieti. Febbrili. Il resto del volto perennemente, o quasi, coperto dalla mascherina. “Volevo chiederle una cosa, ma non so… forse c’entra poco. Forse non c’entra per niente…”
Non ti preoccupare. Dimmi… sempre meglio una domanda poco pertinente, che il silenzio del totale disinteresse..
“Ecco… volevo chiederle… Ma che senso ha studiare la Storia? So che non è la sua materia. Ma è un pezzo che me lo chiedo…”
E non lo hai mai chiesto ad altri?
“Sì, certo, ma…” si stringe nelle spalle. Ho capito. Purtroppo.
Vedi forse bisogna partire da una cosa che dice Cicerone…
“A proffe nooo! Cicerone no! Già quella de latino ce sta a fa’ du palle…”
Risate generali. E cenni di assenso. Già, io qui faccio solo italiano. E il Boro trova impropria questa mia invasione di campo…
Sì proprio Cicerone. E fa bene a farvi du palle (altre risate) perché è autore fondamentale.
Comunque, Cicerone sta parlando con Bruto, che immagino sappiate chi fosse…
“Quello che ha spanzato a su’ padre, er Giulio Cesare, no?”
Proprio così. Ma questo dialogo è avvenuto prima. Bruto era ancora giovane. Ed era un oratore promettente. E Cicerone, che lo considerava una specie di erede, gli dice: “vedi se continui ad ignorare ciò che è avvenuto prima di te, resterai per sempre un bambino. Non diventerai mai uomo.”
“E questa sarebbe la ragione per cui dobbiamo studiare Storia?”
Annuisco. Resto per un attimo in silenzio… poi
Diciamo che è la ragione per cui dobbiamo conoscere le storie. Al plurale. Come sempre usavano i greci e i latini. Perché le storie sono molte, non una sola.
” Come molte prof.? A noi ci hanno sempre detto che c’è la Storia…” faccio un gesto con la mano. Come per mettere in fuga una mosca…
Molte storie, non una. Storie di popoli, di città, di famiglie. E di singoli uomini. Quella che sui libri viene chiamata Storia al singolare, è solo un’astrazione, prodotta dal razionalismo che tutto vuole semplificare. Non vi è una sola strada, ma un intrico di sentieri, che corrono paralleli, si incrociano, a tratti si sovrappongono. Poi di nuovo divergono. E portano in direzioni diverse. A volte simili. A volte remote. Non sono solo storie materiali. Di fatti, guerre, carestie, governi… Vittorie e sconfitte. Sono anche storie, per così dire, spirituali. In fondo Hystoria e Mythos in greco significano la stessa cosa. Narrazione. Ti racconto qualcosa. E i racconti, le narrazioni, sono la cultura. Le diverse civiltà.
“OK, prof…. Ma i miti sono favole. Mica cose reali…”
Beh, talvolta quelle che tu chiami favole, ci permettono di comprendere un popolo, una civiltà molto meglio dei reperti materiali. E poi, storie o miti, si tratta, sempre e comunque, di rappresentazioni, diciamo così, di parte. Di narrazioni che esprimono una visione soggettiva. Parziale. O appunto, di parte…
“Prof, ma gli storici non devono essere oggettivi? Non devono raccontare la verità dei fatti?”
Rido. Da solo. Mi guardano perplessi.
“E che? – bofonchia il Boro – mo’ je pija a ridarella…”
Vedete, questa è la vera favola. L’ oggettività degli storici. La pretesa di raccontare la Verità. Anche questa, come la Storia, rigorosamente con la maiuscola. Questa è solo ipocrisia. Menzogna. E chi la sostiene o è stupido, o mente sapendo di mentire…
Perché come non esiste la Storia, ma le storie, non vi è un’unica Verità, assoluta e da accettare come dogma. Vi sono le verità. Molteplici. Parziali. A seconda dell’angolo di visuale. A seconda di come uno vede le cose.
“Ma allora, Prof, la verità non esiste!” gli occhi glauchi sbarrati.
No. Esiste. Ma non è un disegno lineare. Piuttosto un mosaico complesso. Opera di un Dio cubista…
“E che, sto Dio va a balla’ in disco sopra er cubo?” risate generali. La battuta del Boro è davvero buona. Rido anch’io.
Beh, secondo alcune culture Dio danza nel vuoto. E danzando crea il cosmo. Quindi…Non hai detto la solita cavolata. (altre risate). Comunque, bisogna sempre cercare di decifrare l’insieme. Di vedere le cose da diverse prospettive. Di mettere insieme le tessere del mosaico. Ed è bene diffidare di chi ti presenta una sola verità. Precostituita. E pretende che tu la accetti senza spirito critico. Questo nella storia. E anche nella cronaca.
Si è fatto silenzio. Suona la campanella. Infilo la mascherina e mi accingo ad uscire. Poi la glaucopide. Evidentemente è la sua giornata
“Lei sta parlando di ciò che stiamo vivendo, vero? Di questa situazione. Di questa… emergenza.
La guardo…
Tu l’hai detto. Anche questa è storia. O meglio storie.
Esco.