Il sogno, o meglio l’incubo in cui ci hanno costretti, quello della, cosiddetta, globalizzazione, mira a rendere tutto e tutti… uguali. O meglio, uniformi. Perché, in questo, nulla vi è delle utopie egualitarie che portarono alla Rivoluzione Francese. Che erano utopie, e, quindi, sottilmente anti-umane. Come dimostrò, poi, l’aberrazione del Terrore. Ma avevano, perlomeno degli ideali. Astratti, certo, ma non privi di una qualche nobiltà.
Ora, invece, la nuova utopia, o, peggio ancora, il “Progetto”, non ha nulla di nobile neppure nella forma apparente. Tende, con una lucida freddezza che sembra non umana, verso una totale omologazione (brutto neologismo, lo so, ma necessario per farmi capire).
Tutti uguali, non nei diritti o nelle possibilità però. Ché, anzi, le differenze vengono sempre più accentuate, fra i pochi cui tutto e concesso e i più. Cui non è più permesso nulla. Neppure la proprietà del loro corpo.
È un processo che dura da tempo. Dapprima, per lunga pezza, un insinuarsi sottile. Subdolo. Quasi inavvertito. Un mutare di usi, costumi, delle abitudini più elementari. Spingere, attraverso una persuasione occulta, verso modelli sempre più uniformi a livello globale. Mangiare le stesse cose. Vestire allo stesso modo. Guardare gli stessi programmi televisivi. Comunicare secondo gli stessi standard e con gli stessi strumenti. Non importa se vivi a Parigi, a New York, a Ladispoli o a Bucarest…
È un processo di alienazione.
Alienazione, soprattutto, dalla Terra. Che è, poi, il passaggio che stiamo vivendo. O meglio, subendo. Perché una delle cose più importanti che stiamo, oggi, perdendo, è proprio il senso della Terra…
Perché la città moderna, la grande città, la megalopoli è concepita, sin dalla struttura urbanistica e dalle architetture, per essere qualcosa di… impersonale. Uniforme universalmente. La città standard. Un’unica città, di fatto. Globale. Una città sospesa fra le nuvole. Come quella dei filosofi incontrati, nei suoi viaggi, da Gulliver. Solo che quella città, e quei filosofi con la testa fra le nuvole, sono più… simpatici. Meno grigi e tetri.
Non è mai stato indifferente il luogo in cui si vive. Il legame dell’uomo con la Terra, col suolo che calpesta e la natura che lo circonda, ha un ruolo fondamentale. In quanto su quel rapporto si fonda la diversità fra culture. E contribuisce a determinare il nostro carattere. La nostra sensibilità.
Giorgio De Chirico diceva che l’arte greca classica traeva origine dal suolo e dalla natura della penisola ellenica. Una questione di equilibrio, di (giuste ) proporzioni. Di misura e purezza di forme. Di luminosità dell’aria. Policleto e Prassitele non avrebbero potuto nascere in Finlandia o nel Gabon. Non sarebbero stati la stessa cosa. Né loro, né la loro Arte.
Distruggere il rapporto dell’uomo con la Terra, col suolo natio, è come tranciare le radici di un albero. E pretendere, poi, di mantenerlo in vita in una serra artificiale. Non è più vita, però. È un esistere sospeso. Astratto. E, perciò, privo di senso.
È diverso vivere sul mare o in una valle montana. Diverso è il carattere delle genti, prima ancora della loro cultura materiale.
Ma, oggi, sembra che si tenda sempre più ad una vita privata di ogni rapporto con il suolo. Con la Terra madre. Una vita lontana dalla Natura. Che viene, al massimo, concepita come qualcosa che ci è aliena. Quando non nemica, come ha avuto occasione di dire un alto Boiardo di Stato.
Poi, magari, ci si fa infinocchiare dai deliri ecologisti. Che sono, però, l’altra faccia della stessa medaglia…
1 commento
LA MASSONERIA HA DECISO CHE TUTTI DEVONO ESSERE SCHIAVI. LA RELIGIONE DEVE ESSERE UNICA OPPURE SOPRESSA. IL POPOLO DEVE ESSERE IGNORANTE, TANTO COMANDERA’ UN’ELITE DI ESSERI SUPERIORI, CIOE’ LORO.
CI SONO TROPPI CHE NON LO HANNO ACORA COMPRESO!!!