Goethe amava la pittura. Anche se è difficile dire cosa non amasse. Ovvero cosa non rientrasse nel suo eclettico, immenso, campo di interesse. Dove filosofia e poesia, arte e musica, scienze naturali e pensiero politico si intrecciavano disegnando il grande arazzo di una visione cosmica. Che trova ben pochi paralleli, prima o dopo di lui. Dante, certo. E poi Pound… Mi fermerei qui.

Comunque con la pittura aveva instaurato un rapporto particolare. E con i pittori. Da vecchio, Consigliere del Duca di Weimar, proteggeva gli artisti. Collezionava opere. E presiedeva forse il più importante concorso di pittura della Germania. E così incontrò e scoprì Caspar David Friedrich. Un giovane artista originario della Pomerania. Di modesta estrazione sociale, ma dotato di rara potenza visionaria. L’incarnazione del Romanticismo in pittura. Ma del Romanticismo più estremo. Quello di Novalis, Tieck… ancor più di Hebbel, con questa inquietudine omnipervadente. E devastante. E questa possente fascinazione per i miti norreni. Wagner sarebbe giunto di lì a non molto.
Non era il Romanticismo di Goethe.

Friedrich era un visionario, capace di dare forma alla sua sensibilità attraverso una particolare percezione, e rappresentazione, del paesaggio. Privo di ogni realtà oggettiva. Il famoso Viandante che contempla il Mare di Nebbia, ne è la prova. Per Goethe la Natura è, invece, oggettiva. Va contemplata senza giudizi a priori. E, con tale contemplazione, può venirne penetrato il mistero. Perché la natura ci parla. Ma noi non riusciamo ad ascoltare e vedere. Troppo presi da noi stessi. Differenza radicale con Kant, la cosa in sé, di fatto inconoscibile, la rappresentazione della cosa… Era un bivio per la cultura occidentale. Anche se ben pochi se ne resero, e ancora rendono, conto.
Comunque, Goethe apprezzava, nonostante tutte le differenze, l’arte di Friedrich. E ne acquistava le opere. Poi, però, arrivò la rottura. A causa delle… nubi. Durante quello che sarebbe stato il loro ultimo colloquio, il Poeta chiese al pittore di rappresentare le nuvole, in un quadro, seguendo il rigore dell’ordine naturale. Era il periodo degli studi che portarono Goethe a scrivere le sue Opere Scientifiche. Friedrich si rifiutò. Per lui il paesaggio era proiezione del mondo interiore. Pazzesco – commentò più o meno Goethe – così le nuvole, in questi quadri, possono venir guardate indifferentemente da sopra come da sotto. Rovesciate a piacere. Ad estro dell’artista. E questo era, per lui, inaccettabile.

Ora, non è mia intenzione addentrarmi in una qualche disquisizione sulla teoria goethiana della percezione, che è tema talmente complesso ed elevato, per cui mi verrebbe da dire: Domine, non sum dignus… E rimandare, chi ne fosse incuriosito, agli scritti su “Le opere scientifiche di Goethe” di Rudolf Steiner. Che del pensiero goethiano è stato, certo, il massimo studioso ed interprete.
Quello che, però, mi colpisce è che in questa discussione tra il poeta e il pittore, emerge molto di più di una divergenza estetica. Se le nuvole possono essere rovesciate a seconda dell’animo con cui le guardiamo, allora non vi è nulla, proprio nulla di stabile nel mondo. Ed è, in fondo, il massimo paradosso della nostra contemporaneità. Perché da un lato abbiamo una visione della natura come mera materia inerte e massiva. E questo anche, anzi ancor più quando giochiamo a fare gli ambientalisti.

Perché, comunque, la nostra percezione di quella che è divenuto di moda chiamare Gea – senza alcuna comprensione di ciò che questo significhi – è morta. E mortifera. Dall’altro viviamo nella, inconscia, convinzione che tutto sia relativo. Arbitrario. Determinato dal nostro modo di vedere. O peggio da ciò che conviene ai nostri interessi. E ai nostri istinti.
Le nuvole appaiono più di tanti altri fenomeni naturali tessute di sogni. Guardarle e fantasticare è cosa spontanea. Da sempre. E da sempre gli uomini hanno letto storie nelle nuvole che mutano col vento. Ma Goethe ci dice che anche la fantasia non è, e non può essere arbitraria. Ha un suo ordine necessario. E morale. Che si riflette nell’ordine sociale. E nella vita. Se le nuvole possono essere rovesciate, può esserlo tutto. Il senso della vita ne resta stravolto. Ognuno insegue solo i propri desideri. O peggio, o suoi, più inferi, istinti. E i desideri ed istinti della nostra epoca sono, certo, meno nobili, ed estetici, di quelli dei grandi Romantici visionari come Friedrich.
Abbiamo cominciato col rovesciare il senso delle nuvole. E ora non abbiamo più neppure una vaga coscienza di ciò che sia l’ordine naturale delle cose. E confondiamo i nostri desideri con la realtà.