Il silenzio dell’Europa appare allarmante dopo la notizia della morte dell’avvocata turca Ebru Timtik, dopo 238 giorni di sciopero della fame, condannata a 13 anni dopo un processo farsa ordinato dal governo di Erdogan. Gli avvocati turchi sfilano in doloroso e rabbioso silenzio. Lo scorso 5 aprile Ebru Timtik aveva annunciato la sua decisione di trasformare lo sciopero in un digiuno fino alla morte, a meno che non fosse sopravvenuta la scarcerazione. L’ordinamento turco prevede il rilascio in caso di gravissimi rischi per la salute del prigioniero, nonostante questo, e ignorando i pareri delle autorità mediche, il governo ha ignorato il suo appello. Scatenando l’ira delle associazioni di categoria e dei gruppi per i diritti umani.
L’Unione europea si è detta “rattristata” dalla morte dell’attivista turca e si aspetta che la Turchia affronti le preoccupazioni sul mancato rispetto dei diritti umani, ha dichiarato in una nota il portavoce del Servizio per l’azione esterna dell’Ue, Peter Stano. “Il tragico esito della sua lotta per un giusto processo illustra dolorosamente l’urgente necessita’ per le autorita’ turche di affrontare in modo credibile la situazione dei diritti umani nel Paese”, afferma il portavoce, sottolineando le “gravi carenze” nella tutela dei diritti umani e nel sistema giudiziario del Paese. “La Turchia ha urgente bisogno di dimostrare progressi concreti in materia di Stato di diritto e liberta’ fondamentali”.
L’avvocatessa, sostenitrice dei diritti umani in Turchia, era stata arrestata nel 2018 con altri 16 colleghi, tutti accusati di far parte del famigerato Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo. A febbraio aveva intrapreso lo sciopero della fame, come atto di protesta nei confronti di un procedimento giudiziario tutt’altro che equo. Decisione adottata anche dal collega Ayataç Ünsal, e prima ancora da molti altri attivisti incarcerati (alcuni dei quali difesi dalla stessa Ebru); come la cantante Helin Bolek, morta la scorsa primavera dopo un lungo digiuno.
Ebru Timtik si era fatta molti nemici dopo aver difeso, come avvocato, minatori sfruttati, contadini a cui veniva espropriata la terra, manifestanti piegati dalle forze del governo turco.
La persecuzione degli avvocati in Turchia si è aggravata a partire del 2016. Attualmente sono più di 1500 gli avvocati, negli ultimi quattro anni, perseguiti penalmente. Tra questi più di 600 hanno subito l’arresto. Sono accusati di terrorismo. Il governo turco considera un atto di terrorismo l’atteggiamento di chiunque manifesti il proprio dissenso da tutto ciò che viene stabilito dalle autorità. Anche difendere come avvocato chi viene ingiustamente accusato di terrorismo è molto pericoloso, il rischio è essere considerati complici dei “nemici dello Stato”. Tutto ciò in aperta violazione delle “Garanzie per il ruolo degli avvocati” stabilite dalle Nazioni Unite.
In carcere i legali spesso subiscono torture, dalle percosse fino alle sigarette spente sulla pelle. Gli avvocati vengono condannati in seguito a processi pilotati con testimoni sconosciuti tanto da non permettere alla difesa di stabilirne l’identità.
Il governo ha la piena facoltà di controllare l’ordine degli avvocati nel Paese e 34 ONG fondate da avvocati sono state sciolte. L’emergenza coronavirus ha visto la scarcerazione di 100.000 prigionieri turchi ma non degli avvocati, che sono rimasti in carcere perché considerati dissidenti. Forse è proprio per questo che dagli anni ‘90 i prigionieri politici in Turchia fanno ricorso allo sciopero della fame per contestare le autorità. Ma non esiste giustizia in Turchia. Le garanzie di ottenere un equo processo sono rare. La Turchia di Erdogan non è disposta a nessuna apertura nei confronti delle libertà politiche e civili. A quattro anni dalla svolta autoritaria, e nonostante la fine ufficiale della stato di emergenza (inaugurato all’indomani del tentato colpo di Stato), la posizione del governo si è tutt’altro che ammorbidita e i diritti umani sembrano ormai un lontano ricordo.
La Turchia non è mai stata rispettosa dello Stato di diritto, ma quel poco che ne rimaneva è stato sistematicamente smantellato da Erdogan negli ultimi anni, licenziando fra l’altro migliaia di magistrati, sostituiti da persone spesso non competenti professionalmente ma sempre sicuramente “complici”del potere costituito, mettendo in galera gli avvocati, che rappresentano parte non trascurabile dell’ingente massa di prigionieri politici che affollano oggi le carceri turche. Una vera e propria parodia dello Stato di diritto. La morte di Ebru Timtik dimostra che c’è una chiara volontà intimidatoria. Un’azione dimostrativa per togliere il coraggio di difendere chi viene accusato dal regime. Nel mirino non ci sono solo gli avvocati, questo vale anche per i giornalisti. Tutto questo accade perché non vi è alcuna garanzia dei diritti fondamentali nel paese. Non sono garantiti la libertà di espressione, quella di stampa, di riunione, né altri diritti e libertà. Perché non esiste un meccanismo di garanzia. La separazione dei poteri, che esisteva da tempo immemorabile, tra gli organi legislativo, esecutivo e giudiziario è scomparsa. Ora sono tutti formalmente collegati a un unico potere. Non esiste una giurisdizione indipendente per sorvegliare le pratiche del governo che limitano o distruggono questi diritti. Non si può parlare dell’esistenza di diritti fondamentali in un luogo in cui la magistratura è completamente sotto il controllo dell’esecutivo e dove non c’è indipendenza giudiziaria.