L’aggressività è la componente umana indispensabile all’uomo, quel dispositivo naturale che gli ha permesso di superare i pericoli delle varie epoche storiche, di modificarsi a seconda delle circostanze e di modificare l’ambiente seguendo le sue inclinazioni: l’aggressività è la parte dell’animale che l’uomo ha incorporato, mentre la sua degradazione – la violenza – è la condizione che l’uomo non ha trasferito nell’animale.
Il vero cancro di questa società: il politicamente corretto,
secondo la condivisa precisazione di Augusto Grandi, ha confuso – per ignoranza o per malafede o per entrambe – questi due peculiari comportamenti, sovvertendone i significati e disarmando il primo.
Risultato: come avviene nella psiche, dove ritorna nel sintomo e nel disturbo ciò che viene rimosso perché disturbante e inaccettabile, così è accaduto nell’agire umano, con il depotenziamento dell’aggressività, fraintesa dal buonismo imperante e da un concetto illusorio e pacifista dell’esistenza.
Al suo posto, in un’atmosfera forzatamente e ipocritamente spacciata di bontà e di amorevolezza, è esplosa la violenza nelle sue forme più aberranti: dal bullismo allo stupro, da quella di coppia a quella del branco, dalla distruzione degli arredi urbani alle sevizie sugli animali.
Il coperchio della pentola umana delle pulsioni, privato della valvola di sfogo, è esploso, espandendo il suo contenuto nell’ambiente circostante la sua carica di potenza.
E quale era la valvola di sfogo di questa inconscia forza naturale?
Erano i rituali di iniziazione, le competizioni scolastiche, le gare sportive, il confronto selettivo, la sfida sociale.
C’è un meccanismo psicologico preciso che agisce in questo senso, per dare un valore ed un aspetto accettabile ed etico a questa tendenza innata, e si chiama sublimazione.
In parole semplici è come la regola che serve a gestire un gioco di ruolo.
Il successo in una interrogazione scolastica incanala l’aggressività verso il traguardo del successo nell’esame; il corteggiamento indirizza la pulsione sessuale nel rito della conquista e nell’esposizione della vittoria al gruppo; lo sforzo per emergere in una rivalità sportiva sublima l’istinto di sopraffazione e di superiorità.
E quali sono le prerogative di questo meccanismo di difesa che controlla l’aggressività?
La regola e la parola.
Quando le regole vengono destituite di valore, e con esse il limite e quindi l’interdizione, e alla fine anche il senso di colpa legato al gesto della responsabilità, la stessa parola diventa afona. Dove non c’è parola, quindi, non c’è scambio di pensiero, e ogni azione diventa immediata e degradata.
Negli anni settanta, definiti di piombo, le armi della critica hanno lasciato il posto alla critica delle armi. Con il politicamente corretto, la facoltà della critica, della discriminazione e del giudizio è stata castrata, e l’illusionismo egualitario ha represso ogni sana competizione.
E così che siamo giunti all’attuale allarme sociale.
Perché l’igiene del pensiero ha messo in sonno la ragione e ha generato un società di egoismi e di perversioni.