La sonnolenza, la piacevole sensazione di assopimento, è uno dei sintomi peggiori dell’assideramento, che i manuali di sopravvivenza avvertono di prevenire con il mantenere l’attività in modo da conservare la temperatura corporea ad un livello fisiologico.
La monotonia è il corrispondente psichico dell’abbandono fisico, quel rassegnato e rilassato passaggio dalla vita alla morte.
Questa attualità, grazie o per colpa di questa campagna virus-terroristica, è proprio caratterizzata da una simile condizione di beota preagonia.
Ne succedono di tutti i colori – dall’invasione quotidiana di criminali allogeni liberati dalle carceri subsahariane alle rivendicazioni terroristiche dei pirati e delle filibustiere mediterranee, dai loschi traffici economici di mascherine, tamponi, banchi di scuola e monopattini alle tiranniche e distorte disposizioni governative, dai silenzi complici sull’affarismo giudiziario ai tracolli di dignità delle istituzioni repubblicane, e l’elenco potrebbe continuare per molte cartelle – nonostante ciò, il popolo russa seguendo il ritmo del ronfare delle opposizioni.
L’appiattimento emotivo è diffuso, in una mansuetudine generalizzata caratteristica dello spirito gregario e dell’ottimismo autolesionista.
Prima che fisica, da parte di agenti patogeni o accidenti fortuiti, comunque indipendenti dalla volontà del singolo, incombe una minaccia spirituale che non viene percepita nella sua pericolosità sociale, e che sembra quasi accolta come una volontaria liberazione dai vincoli dei doveri e delle responsabilità.
La rinuncia a decidere, la fuga dagli impegni, la diserzione della volontà, e così, i fasulli cittadini “sguazzano nel tepore della corrente che li trascina all’inesistenza”, come precisamente denuncia Stefan Zweig.
Si usa dire che ogni popolo ha il governo che si merita. Evidentemente questo italiota, morfinizzato da una informazione ipnotica e dal mefitico buonismo pacifista, subisce l’appiattimento che intimamente ambisce.
Il popolo italiota non si annoia di annoiarsi. Si accontenta di quello che passa la conventicola politicante, non percepisce la losca connivenza che fa rete dietro alle sue spalle, attende con tonta pazienza che qualcosa cambi senza un impegno individuale.
La domanda cruciale è cosa possiamo fare. Fondamentale è pensare a noi, ai renitenti al sistema, ai refrattari ad ogni tipo di propaganda. Recita Burljuk a Majakovskij: “Nel secondo seminterrato del cortile / c’è un rifugio di cani. / Chiunque capiti qui / è solo un cane randagio. / Ma in questo è l’orgoglio, in questo è l’onore, / nell’infilarsi in questo seminterrato! / Bau!”.
Più cani fanno un branco, e il branco di cani non bela, ma abbaia e ulula.
Noi siamo diversi. Senza presunzione, senza insolenza, semplicemente differenti: studiare, intendere, rigettare quello che non ci appartiene e mantenere le posizioni della nostra differenza.
Rispetto all’uniformizzazione remissiva che ci circonda, rivendichiamo con ferocia la diversità “Perché sono questo e questo. E soprattutto non scambiatemi per altro”. E così sia.