Il comportamento mantenuto dagli operatori sanitari durante questo periodo di emergenza pandemica è la conclusione infelice e imbarazzante di una progressiva resa al potere politico ed economico, con spunti, ed anche esplicite evidenze, di squallida correità.
Il primo segnale è stato la degerarchizzazione delle funzioni cliniche, con la scomparsa delle figure dell’assistente, dell’aiuto e del primario. Queste erano le tre componenti essenziali di un percorso formativo che iniziava con un serio e quotidiano tirocinio e finiva con la carica riconosciuta per competenza e preparazione. Ogni passaggio veniva sancito da un concorso, e alla buona riuscita corrispondeva un aumento economico proporzionale alla responsabilità.
Il secondo segnale è stato l’aziendalizzazione della sanità, con l’annosa questione del blocco degli stipendi e l’introduzione di un meccanismo tanto perverso quanto equivoco degli “obiettivi”. Questa prospettiva legata agli incentivi venne vista – in modo cieco e dissennato – come un migliore riconoscimento delle capacità individuali e della singola professionalità, mentre nascondeva la trappola dell’ubbidienza e della subordinazione alle decisioni di razionalizzazione dei direttori amministrativi e sanitari.
Il terzo segnale – che fu più che altro la spallata definitiva al tracollo della sanità pubblica – è stata la riorganizzazione aziendale. Un autogol professionale ed etico, perché il metodo gestionale da impresa nega la variabilità complessiva della pratica sanitaria, riducendo ogni operazione ad un parametro economico, ad una contrazione di costi da perseguire. Il dispositivo perverso che parte dal presupposto, denunciato da Ivan Cavicchi, che “attraverso le risorse sia possibile controllare i bisogni. Un’idea stupida, smentita dalle esperienze”.
Si è verificata, quindi, una prevaricazione della pratica aziendalistica su quella clinica, sullo stesso diritto di cura e, come sottolinea lo stesso Cavicchi, “il diritto alla salute diventa così condizionato dalla responsabilità finanziaria del direttore generale”.
Lo stato di sudditanza della categoria si è manifestato in piena durante questa emergenza che continua ad essere politica e finanziaria, ma non certo sanitaria.
L’Ordine dei Medici si è appiattito sulle direttive antiscientifiche e preudopreventive di un ministero della Salute che ha brillato per inettitudine ed irresponsabilità. Ha permesso che un clan di virologi o sedicenti tali, assoldati dal regime, si esibissero come vedette dando numeri e formulando profezie sempre sotto il segno del terrore, e senza intervenire sul pano deontologico di fronte ad insulti vili e a squallidi improperi nei confronti di colleghi e di altre autorità non allineate. Si è distinto in azioni persecutorie nei confronti di molti iscritti non per motivi di professionalità mancata, ma semplicemente non succubi e servili nei confronti di un sistema falsario e chiaramente mistificatorio.
I medici hanno deliberatamente rinunciato – per indolenza, per superficialità, per interesse – alla dignità dell’arte sanitaria, per diventare prestatori d’opera e, a loro volta, meschini esecutori delle ordinanze del potere liberal-capitalista.