Credo di averlo già detto più volte…e, però, posso chiamare a giustificazione l’artesioscleriosi… Che, come dice la scienza, inizia intorno ai vent’anni. Quindi io non sarò messo bene, ma anche voi, invece di ridacchiare, fatevi due conti.
Comunque, stavo per dire: amo viaggiare in treno. E lo amavo ancora di più nel passato. Quando il viaggiare era più lento. Enormemente più lento. Da studente universitario, quando andavo a Roma da Venezia per consultare libri e papiri sui quali fondare la mia tesi – mica c’era internet, dovevi andare nelle biblioteche a spulciare volumi e rotoli coperti di polvere – ci mettevo qualcosa come 8/9 ore. Se andava bene. Partivo intorno a mezzanotte da Santa Lucia, e arrivavo in mattinata a Termini. Un’agonia. Però…mi piaceva. E non solo perché nella, lunga, sosta a Bologna trovavo al binario il venditore ambulante di lasagne calde…
Erano treni lenti. Espressi, se andava bene. Peggio… Accelerati. Che quasi quasi facevi prima in bicicletta. Certo, c’erano i pochi Rapidi. Il leggendario Settebello, con il salotto da fumo in coda. Ma non era roba per le tasche di uno studente.
Però quei viaggi interminabili ti davano la possibilità di guardare. E di pensare. L’alba che mi sorprendeva nel passaggio dalla Toscana al Lazio. Il mutare dei paesaggi. Le campagne della Bassa veneta e emiliana e i colli che fanno corona a Padova. Le asprezze dell’Appennino, cui faceva seguito la verde dolcezza del Mugello. E la Tuscia, poi, bruciata dal Sole.
Tra un sonnellino e l’altro, guardavo dal finestrino scorrere il paesaggio, come se fosse un film a rallentatore. E il paesaggio, mutando, evocava nomi. Parole. Versi.
Stagione poetica la giovinezza.
I colli Euganei richiamavano Petrarca, lassù, nella sua Arquà. E il Mugello la Nencia di Lorenzo, con il povero Vallera che tenta di corteggiarla con le parole dei poeti. Ma non trova paragoni adeguati. E il profumo della donna amata, gli ricorda quello delle sue, amatissime, caciotte…
Poi la campagna fiorentina. Che ancora sembrava risuonare del clangore delle mazze e delle spade. Guittone che piange Montaperti. Dante che ricorda il grande scempio, parlando con Farinata.
E il Lazio. Ancora greggi al pascolo, come nella Bucolica. E contadini al lavoro secolare. La Georgica di Virgilio. E Roma, infine. Con i suoi colli e il corso di Tevere e Aniene. Le odi di Orazio….
A ripensarci, forse ho imparato molto più in quei lenti viaggi in treno, che nei libri e papiri che andavo a consultare.
Oggi, i treni sono ad alta velocità. E quasi non cogli il paesaggio che scorre troppo veloce. Senza contare i lunghi, lunghissimi tratti nelle gallerie. Sembra davvero che avesse ragione il prof Carducci, con quel suo treno che diviene simbolo di Satana che emerge dalle profondità della terra
Non ti resta che dormire, se ti riesce. O lavorare con tablet e smartphone… Chiuso in te stesso. Isolato dal mondo.
Però, quando vado a Trento – come ho fatto recentemente, per il Wks de Il Nodo di Gordio a Montagnaga di Pinè – il treno, dopo Verona, è costretto a rallentare. I binari non reggono l’alta velocità. E allora….
E allora vedo scorrere i boschi. Intervallati da paesi e borghi con i caratteristici campanili in stile tirolese. Le case coi balconi di legno, coperti di fiori. E il profilo delle montagne che si delinea progressivamente, sempre più nitido.
Posso tornare a sognare…