In Piemonte un assessore regionale alla cultura, in quota Lega, che non ha fatto praticamente nulla per iniziative in ambito autonomista o per qualsiasi progetto destrista, cerca di piazzare ai vertici del Salone del libro di Torino due esponenti dell’area PD. In Trentino il presidente della Provincia autonoma, sempre in quota Lega, che prova ad escludere Fratelli d’Italia dalla coalizione per le elezioni provinciali di quest’anno.
Non male per una alleanza di governo che si definisce compatta e solidissima. Magari al circolo della Garbatella va bene così. Perché, in Piemonte, vige la sudditanza culturale nei confronti della sinistra e la destra fluida di governo non osa contrastare la disinformazione locale. Ma sarebbe un segnale molto più interessante l’eventuale indifferenza di fronte all’esclusione di Fdi in Trentino. Perché significherebbe avanzare, successivamente, la pretesa di andare a governare il Veneto dove il doge Zaia si avvia alla conclusione del suo ultimo mandato. E dove non si può più ripresentare a meno di cambiare la legge elettorale.
Dunque Meloni potrebbe incassare l’offesa trentina in cambio della conquista di una regione decisamente più strategica. Lasciando a Forza Italia la guida del Piemonte dopo aver concesso la Lombardia al leghista Fontana, commissariato da Daniela Garnero Santanchè.
Salvini, per evitare la capitolazione, ha una sola arma a disposizione: cambiare il candidato in Trentino, sacrificando il presidente uscente – e non sarebbe una grave perdita – e puntando su un leghista in grado di conciliare l’anima autonomista del Trentino con i rappresentanti locali di un partito centralista a Roma ma molto più conciliante sul territorio.
A quel punto lady Garbatella potrebbe virare sul Piemonte, facendo felice il governatore attuale (di Forza Italia) che sogna un ruolo di prestigio in Europa. I berlusconiani incasserebbero un commissario europeo, i meloniani una grande regione del Nord e la Lega salverebbe il Veneto. Tutto troppo facile, dunque praticamente impossibile.