Tempo di carnevale. Quindi, tempo di gnocchi.
E qui già più di qualcuno si stupirà. Che c’entrano gli gnocchi col Carnevale? Mica sono frittelle, castagnole, galani o frappe…
E invece c’entrano. E se voi foste di Verona, o della vicina provincia di Mantova, avreste capito al volo. Perché lì a guidare la parata del Venerdì di Carnevale, è il Re, detto anche Papà, “del Gnoco”. Che regge come scettro una gran forchetta. E distribuisce, generoso, gnocchi. In genere conditi, per tradizione, con la pastissada di cavallo. Ricorda, probabilmente, una distribuzione di gnocchi al popolo veronese affamato da guerra e carestia, che sarebbe avvenuta nel ‘500, ad opera di un ricco Benefattore. Il “Re del Gnoco”, appunto. Che, dunque, è la maschera carnevalesca più antica di cui si possano ricostruire le origini. Perché altre, ben più note e diffuse, come Arlecchino e Pulcinella, si perdono, letteralmente, nella notte dei tempi.
Comunque gli gnocchi, ottimi in tutte le stagioni, sono un piatto festivo e, per tante ragioni, invernale. Che non si lega, però alle feste di Natale, quando vengono per lo più preferiti pasticci e paste ripiene, cannelloni, ravioli, tortelli, cappellacci e tortellini.
Per il Carnevale, invece, gli gnocchi sono perfetti. Anche perché piatto più di tanti altri duttile. Possono essere fatti in molti modi, non solo di patate, uso oggi più comune.
Vi sono gli gnocchi alla Parigina, ad esempio. Farina, acqua, uova e formaggio. Gratinati al forno. Più lievi, ariosi. I francesi dicono che siano roba loro. Ma a Firenze non sono d’accordo. Perché di tali gnocchi “alla fiorentina” parla già, nelle sue rime, Lorenzo il Magnifico. E questi avrebbero allietato la sua mensa proprio durante le celebri feste di carnevale, che ispirarono al Magnifico i famosi Carmi Carnascialeschi. Quelli di cui tutti, più o meno, conoscono il famoso Ditirambo o Trionfo di Bacco e Arianna. O, per lo meno, il suo incipit: “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! /Chi vuol esser lieto sia /del diman non v’è certezza…”
Accompagnava, questo canto, dei cortei mascherati. Dei carri allegorici, probabilmente. Che celebravano, attraverso il recupero di miti classici – si era nel culmine dell’età umanistica – i grandi temi della Vita. E, per ovvia sinergia, della Morte. Perché la vita trionfa, nella sua multiforme e selvaggia bellezza – la figura di Sileno, ebbro e felice, che segue i due giovani, belli e l’un dell’ altra ardenti – solo in quanto affronta e svela il mistero della sua fine. Mistero, anzi agone, lotta senza la quale la vita perde ogni senso. Si riduce a mero sopravvivere. Monotono e grigio.
Mentre Lorenzo ne canta la ricchezza magmatica, la potenza generativa. In quel Carnevale che è, appunto, simbolo di rigenerazione attraverso il caos. Quando la Natura urge dietro la coltre di ghiaccio. E prepara una nuova effervescenza di profumi, colori, sapori…
Che c’entra questo con la storia dei gnocchi fiorentini, che poi Caterina de’ Medici portò in Francia, con il suo corteo di cui facevano parte cuochi e pasticceri? e che divennero gli odierni gnocchi alla parigina?
Forse, anzi certamente, il mio è stato un volo pindarico… Un libero gioco di associazioni mentali, in una, gelida, mattina d’inizio Carnevale. Però….
Però le cose del mondo, anche quelle che ci sembrano a tutta prima scontate, banali, hanno sempre un significato… altro. Se vogliamo simbolico. Ma non un simbolismo astratto. Perché aveva ragione il Pascoli: è l’oggetto naturale il simbolo più potente.
E guardiamo, dunque, un bel piatto di gnocchi fumanti. Di patate o alla parigina. O anche di pane raffermo, i famosi canederli, che sono attestati sin dal XII secolo.
Conditi nei modi più diversi. A seconda dei gusti e delle tradizioni. Con la pastissada come vuole l’uso di Verona. O intrisi di burro e formaggio. Al ragù e alla sorrentina. O anche dolci, con le prugne e lo zucchero e cannella, come a Trieste.
Guardiamo. E sentiamo il profumo. Prima ancora di gustarli.
Sono qualcosa di opulento. Trasmettono una sensazione di allegria. Di gioia di vivere. Eppure, se ci pensiamo, sono un cibo semplice. Fatto con materie prime povere. Farina, acqua, pane raffermo. E patate, il cibo dei poveri per eccellenza, un tempo. Originariamente considerati alimento per i maiali, salvarono buona parte dell’Europa, soprattutto la Germania, dalla grande carestia provocata dalla piccola glaciazione del ‘600. Che aveva portato le genti allo stremo. Leggete, se ve capita, “Il rombo”, il miglior libro di Günther Grass…
Piatto povero, dunque. Ma che evoca ricchezza. Abbondanza. Come, in fondo, è lo spirito del Carnevale. Festa che inizia nel più profondo inverno. Quando di tutto vi è penuria. E la paura soffia con il vento freddo. Però il Carnevale comincia. E, a poco a poco, esplode. Il Rubicondo Re del Gnoco porta allegria. La vita che risorge dal lungo gelo.
Ah… se non si fosse capito, non ho parlato solo di Carnevale, gnocchi, inverno e primavera meteo…. Anche questa, se vogliamo, è solo metafora.