Dal nostro corrispondente a Mosca
I risultati delle elezioni politiche italiane hanno avuto una certa risonanza anche in Russia, dove lo stupore e la curiosità generali per la vittoria del partito di Giorgia Meloni, molto più che per la vittoria in senso lato della coalizione di centro-destra, sono stati evidenti. La vittoria di Fratelli d’Italia, eclatante, ha colto di sorpresa la maggior parte dei media e delle testate internazionali, tra cui anche gli organi d’informazione russi. L’affermazione netta di Giorgia Meloni ha senz’altro catturato le attenzioni della platea russa di analisti di politica internazionale e di esperti in materia di relazioni euro-russe, i quali hanno interpretato il risultato delle politiche italiane delle ultime ore, generalmente parlando, con moderazione e cauto ottimismo.
Secondo gli osservatori, il successo della destra italiana mostra essenzialmente come gli elettori italiani si fidano di quei partiti che cercano principalmente di proteggere gli interessi dei propri concittadini e sostengono una maggiore indipendenza da Bruxelles. Tuttavia, gli stessi osservatori evidenziano come la presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, abbia prospettato l’eventualità, in caso di vittoria elettorale dei partiti sovranisti, in cui l’Italia potrebbe trovarsi in una posizione rischiosa nel ricevere gli aiuti finanziari europei, minacciando esplicitamente di ricorrere a strumenti legali dissuasivi qualora questo evento si concretizzasse.
Quest’entrata a gamba tesa della Commissione, non a caso, è stata percepita dai partiti “sovranisti” della coalizione di centro-destra come un tentativo di interferenza elettorale. L’affermazione di Fratelli d’Italia, sulla scia delle rivolte populiste dell’ultima decade, rappresenterebbe così un ennesimo voto di protesta radicale, di reazione alla depressione economica e sociale che da anni colpisce l’Italia e aggravatasi per i costi sociali della pandemia e delle scelte scellerate in materia di politica estera della Commissione e del Governo Draghi.
L’affermazione di un partito di destra nazionale e sovranista, elemento di punta della cosiddetta правоцентристский альянс italiana (letteralmente coalizione di destra-centro, termine quantomai adatto per descrivere il baricentro politico della tradizionale coalizione berlusconiana), equivarrebbe secondo gli opinionisti alla richiesta esplicita ed essenziale, da parte dell’elettorato italiano, di porre fine alla sudditanza di Roma a Bruxelles e al potere incontrastato, assoluto della Commissione Europea sui governi nazionali, e di tornare alla centralità delle agende nazionali e agli interessi italiani.
Sul versante più prettamente politologico, invece, questo voto popolare e di protesta populista per Giorgia Meloni è stato largamente analizzato come un voto di identità e identitario al contempo, che non solo rappresenta un’esigenza popolare di tornare all’esclusività delle agende nazionali ma anche un rifiuto secco di quanto rappresentato dall’europeismo e quanto promosso dalla Commissione in materia culturale e metapolitica (gender studies, multiculturalismo, globalismo e “relativismo liquido”). Infatti, alcuni opinionisti hanno equiparato in qualche modo il fenomeno italiano FDI al fenomeno turco AKP, a causa della sussistenza contemporanea e della mutua sovrapposizione di identitarismo etnico e religioso nell’elettorato di riferimento (ius sanguinis, tutela dei valori tradizionali, supporto alla famiglia naturale ecc).
Dagli stessi opinionisti, inoltre, è stato sottolineato il profondo legame esistente tra FDI e gli omologhi ungherese e polacco Fidesz e PiS, colonne portanti del populismo di destra europeo e del gruppo V4, ai quali la Meloni ha prestato molta attenzione in questi anni, e in particolar modo da quando lei ricopre la chairmanship dell’ECR, per la formazione di un supergruppo parlamentare europeo che potesse spaccare e spostare a destra il PPE e “de-inciucizzarlo” dall’onnipresente alleanza col PSE. Tuttavia, allo stesso tempo, la platea degli opinionisti russi ha posto una linea di divisione tra FDI e Fidesz, essendo percepito sia il partito italiano come molto più atlantista dell’omologo ungherese sia l’Italia come un paese molto più inserito nel circuito culturale americano dell’Ungheria, e dunque più prossimo al polacco PiS. Una differenza, una demarcazione di interessi e vicinanze politiche internazionali che gli stessi opinionisti hanno applicato alla правоцентристский альянс, facendo dei distinguo chiari tra FDI, Lega e FI. Una visione tutto sommato disincantata e lucida sui populismi europei e sull’arco parlamentare italiano.
Risulta pertanto chiaro che sull’inevitabile divergenza e conflittualità di interessi, e in questo caso tra agenda nazionale e agenda europea, lungo la dicotomia basso-alto e nuove élites-vecchie élites, gli esperti russi di politica europea abbiano essenzialmente incentrato il nucleo delle riflessioni sulla tornata elettorale italiana, ipotizzandone uno scenario turbolento: la spinta e la pressione dell’elettorato italiano per l’attuazione di un’agenda politica di interesse nazionale potrebbe confliggere con gli interessi euro-atlantisti della Commissione Europea, generando in tal modo un conflitto di interessi diffuso che si opponga alla cosiddetta “isteria euro-democratica”, rappresentata dal sistema sanzioni e dall’approccio anti-diplomatico russofobo alla questione ucraina.
Una potenziale crepa nel cuore dell’UE, di certo non solitaria e di profondità maggiore rispetto a quelle già esistenti. E dunque, le maggioranze che si formeranno d’ora in avanti al coincidere dello scoppio delle tensioni sociali dovute all’aumento della depressione economica, tutte accomunate da un mandato elettorale “dal basso” per il perseguimento di agende politiche di interesse nazionale, conterranno inevitabilmente il germe originario della frattura tra centri di potere tradizionali e centri potenzialmente emergenti, esasperata dalla radicalità della contingenza storica attuale in cui gli interessi profondi degli elettorati nazionali confliggono con quelli delle élites esistenti, specie su temi internazionali percepiti rispettivamente come non-esistenziali ed esistenziali (es., guerra in Ucraina).
La questione della sovranità diviene così una questione di libertà di scelta, secondo gli opinionisti russi. E la lotta per la sovranità diviene perciò terreno di scontro ideologico, di colonizzazione culturale “dall’alto” e di tentativi di decolonizzazione “dal basso”, in cui l’uso strumentale della propaganda, della demonizzazione e della “fascistizzazione” dell’avversario divengono tutti fondamentali per il mantenimento dello status quo e della distribuzione di potere relativa, oltre che per l’ostracizzazione del nemico politico. Gli specialisti russi ironizzano su ciò: la sensibilità democratica delle élites UE per la presunta fascistizzazione delle masse popolari europee e del voto populista si concentra nella repressione dei movimenti di protesta democratica all’establishment, ma non nella lotta all’estremismo delle frange nazionaliste ucraine e dei battaglioni paramilitari terroristi. Bensì, in quest’ultimo caso, nel loro supporto economico, politico e militare.
Sibillina è la conclusione unanime dell’intellighenzia russa sulle elezioni italiane e sul futuro governo di Roma: solo il tempo dirà cosa non è sfavorevole alla Russia e cosa invece lo è. L’unica pregiudiziale è l’abbandono dell’approccio anti-diplomatico russofobo.