Buen retiro. Una definizione che, in italiano, ha assunto il significato di luogo tranquillo dove trascorrere periodi di riposo. Ma anche una scommessa di chi è convinto che il futuro del turismo di qualità passi anche attraverso la valorizzazione del buen retiro come alternativa vincente rispetto alle località più affollate e sempre più care. La moda dell’essere contro la moda dell’apparire. Perché anche la valorizzazione dei luoghi isolati si trasforma in un fattore di moda, riservato a chi ha capacità di spesa unita, però, alla capacità di pensare, di comprendere ciò che circonda. Ed alla capacità, più rara, di stare bene con se stessi e con un gruppo ristretto di persone in sintonia.
Nulla da spartire con contesse, più o meno vere, che “aprivano casa” a giugno nelle località più prestigiose e che “ricevevano” sino a fine settembre per poi ricominciare il 7 dicembre e proseguire sino al termine della stagione dello sci. Forse il lancio del buen retiro assomiglia di più ad un recupero della moda ottocentesca delle vacanze di re, regine, alta nobiltà europea e magnati americani. Tra località termali, passeggiate sul lungomare privo di turisti borghesi, scoperta della montagna nei primi hotel di lusso. O, ancora prima, nel Settecento, alle smanie borghesi per la villeggiatura in campagna descritte da Goldoni.
Una scommessa non facile da vincere. Perché il turismo attuale è basato sui numeri. E ridurre il numero dei vacanzieri comporta un incremento dei prezzi. Ma i prezzi possono aumentare solo in proporzione all’incremento della qualità dei servizi. Non solo quelli che possono essere offerti da un hotel o da un ristorante, ma di quelli messi in campo dall’intero territorio. La facilità con cui lo si raggiunge, la comodità dei parcheggi o di un servizio di trasporto pubblico, la pulizia del paese e del mare o dei prati, la disponibilità di collegamenti internet rapidi, un servizio medico, negozi che offrano tutto ciò che può servire, proposte culturali e di intrattenimento di livello adeguato.
Con la consapevolezza che è vero che chi sceglie una vacanza di questo tipo ha, in genere, una buona capacità di spesa, ma ha pure una buona conoscenza del valore dei servizi. E non ama farsi prendere in giro. Sa quanto costa un tubetto di dentifricio, un cavo per lo smartphone, un paio di scarponi. Conosce la differenza tra un attore di fama e di qualità ed il ragazzotto che sbarca il lunario facendo l’animatore un paio di mesi all’anno.
Se si punta sul buen retiro non è per ritrovarsi a rifare le “vacanze intelligenti” in stile Alberto Sordi e Anna Longhi. Il turista non è più il fruttivendolo romano obbligato dai figli a visitare mostre di cui non capisce (giustamente) nulla. La sfida deve essere basata sull’intelligenza della proposta dell’operatore turistico, in grado di rispondere alle aspettative del villeggiante. Certo, è più facile cavarsela con una serata karaoke, con quattro bancarelle dove i prezzi vengono triplicati, con ristoranti dozzinali ma con prezzi da gioielleria. Per poi indignarsi se i turisti protestano ed invitarli a cercarsi un altro posto. Il che sarebbe anche accettabile se, poi, gli operatori turistici non andassero a chiedere aiuti pubblici quando i loro locali restano drammaticamente vuoti.