Sembrava quasi primavera, negli scorsi giorni. I profumi, i colori del cielo, il tepore che, nelle ore centrali della giornata, ti invitava a sederti fuori, al bar. E a crogiolarti, come una lucertola, al primo Sole caldo, dopo l’inverno.
Sembrava… ma il vento è cambiato, stanotte. Ora soffia da nord est. Ed è gelido.
L’ho sentito nella notte. Un suono sordo, di fondo. Come un ululato lontano. Chissà perché, poi…. forse perché è vento che giunge sino a noi da remote steppe. Porta con sé il profumo della neve. E la memoria di branchi di lupi in caccia… è il Buran, credo. Che i greci chiamavano Borea. Un Dio, perché i venti erano Dei. Ovvero esseri non umani, ma dotati di una coscienza. Senzienti e pensanti.
E Borea, dice Omero, fecondava le cavalle selvagge della Tracia. Per questo i puledri erano i più pregiati e veloci. Rapidi come il vento, loro padre.

Sono uscito. E mi sono reso conto che l’aria è tornata tagliente. Come una lama di ghiaccio.
Ieri sera non era così. Eravamo rientrati da cena in una serata, tutto sommato, tiepida. Ti veniva quasi la tentazione di ricercare già il profumo e il colore del glicine. Troppo presto, certo…. però la sensazione c’era. Forse perché era stata una bella serata, Enzo ci aveva servito un risotto di pesce incredibile. E un piatto di mazzancolle con la salsa al cocco, roba sudamericana, che aveva qualcosa di sublime… e il vino, poi…
Insomma, stavamo bene. Ed eravamo felici.
Il Castello là in alto, era illuminato. Il cielo notturno, terso.
Sembrava che non esistesse niente capace di turbare quella serenità. Ogni pensiero, ogni preoccupazione sembrava dissolta. O, per lo meno, accantonata in uno dei depositi profondi della memoria. In una stiva, una sentina….
Ora, però, il vento ha risvegliato i pensieri. E le preoccupazioni. È domenica, ma già ti proietti verso il lunedì, la settimana che si apre, gli impegni, le scadenze. È sempre così. Aveva ragione Leopardi. È il Sabato il giorno più bello. Quello che, ancora, è pieno di aspettativa.

Per due giorni manco ho guardato giornali e notiziari. Come essere fuori dal mondo. O meglio, in un altro mondo. Una dimensione diversa, sospesa… e qui mi verrebbe da rievocare la Primavera di Botticelli , il Giardino delle Esperidi e quello della Visione del Boccaccio… ma sono cose che ho già fatto più volte. E il Direttore si metterebbe a sbuffare. E a dire che sono privo di idee… Che ormai non mi resta che andare a vedere i cantieri…
Intanto questo vento da Est mi riporta, a folate, frammenti di realtà. Di quella che siamo usi chiamare realtà.
La guerra… se ne parla poco, ormai. Data per acquisita. Un fatto normale. Come scrive Solzhenycijn, l’uomo, dopo un po’, si abitua a qualsiasi orrore. Trova “normale” ciò che, fino a poco tempo prima, gli sarebbe sembrato un modo di vivere insopportabile. Aberrante.
Qualche frammento, ora…. forse Putin si deciderà a dare la spallata. Forse utilizzerà i missili ipersonici, o come diavolo si chiamano. Forse la Russia sta perdendo. E sta per esplodere una nuova guerra…. in Moldova… a Taiwan….
Una turba di voci. Arrivano col vento. E il vento le riporta subito via.

Fa freddo. Troppo freddo per passeggiare ancora. Entro da Enzo. Dietro al banco, anche l’Armando è meno vivace del solito.
Mi serve il caffè..
“È l’ultima coda” mi dice “tra tre, quattro giorni comincerà davvero la primavera…”
Speriamo..
Mi avvio per uscire.
“Siete stati contenti ieri sera?”
Si, molto. Davvero molto.
Sorrido ed esco. Mi sembra meno freddo…