“I viaggi sono i viaggiatori. Quel che vediamo non è quello che vediamo, ma ciò che siamo”
Rubo questa frase al mio amico Brunello di Cusatis, finissimo intenditore di poesia. E grande studioso di Pessoa. Perché è una frase di Pessoa. O meglio di Bernardo Soares, un eteronimo… un alter ego. L’autore del Libro dell’inquietudlne.
È una frase secca. Essenziale. Nello stile della prosa aforistica proprio di Pessoa, quando lo spirito di Soares si incarnava in lui… Ma è una frase che dice molto più di tanti, verbosi, volumi. Perché va dritta al nocciolo, senza tanti arabeschi.
Perché non esiste il viaggio, senza il viaggiatore. Siamo noi che sperimentiamo la dimensione del viaggiare… ed è esperienza che dipende solo da noi. O meglio, dallo stato di coscienza con cui la affrontiamo. Ordinariamente, scrive Massimo Scaligero, in “Segreti dello spazio e del tempo”, noi non ci muoviamo. Siamo mossi. ovvero veniamo spostati da dei mezzi, anche per enormi distanze, ma continuiamo a restare come confinati in una stretta, e sovente angusta, stanza. Quella del nostro cervello. Del nostro mondo di rappresentazioni ordinarie. dalle quali siamo inetti ad uscire. Perché aprire quella porta, che ci fa paura. Ci atterrisce. E quindi, possiamo girare tutto il mondo. ma, in sostanza restiamo fermi.
Il vero viaggiatore non ha, in effetti, il bisogno di muoversi più che tanto. Muoversi fisicamente, intendo. Ariosto ha viaggiato per spazi interminati, senza quasi mai spostarsi dalla sua, e amata, casetta alla periferia di Ferrara. Gli bastavano carte geografiche, il mappamondo… E la capacità di immaginare. Il suo viaggiare – che si è tradotto negli straordinari paesaggi del Furioso – è stato, certo, molto più assiduo, ampio, fruttifero di quello di un qualche odierno manager. Che consuma decine di migliaia di chilometri annui, e volando da un continente all’altro. Ma sempre chiuso nella carlinga di un aereo. E, soprattutto, nei limiti della sua mente. Portando, ovunque, sempre e solo il suo personale mondo di rappresentazioni. Totalmente autoreferenziale.
Marco Polo viaggiava davvero. Con la lentezza della sua epoca. Ma con una curiosità di conoscenza che rende il suo racconto, fatto al buon Rustichello da Pisa, un ineguagliabile capolavoro della letteratura di viaggio. Anche se il titolo affermatosi, il Milione, ci lascia intendere che i contemporanei mica gli davano poi tanto credito… Chè a Venezia dire ” el xe un milion” equivaleva a tacciarti di cacciaballe….
E viaggiava davvero Goethe. Il suo “Viaggio in Italia” è la dimostrazione di quanto dice Pessoa. Che, per altro, di Goethe era attento, e appassionato, lettore.
Goethe scende lungo la via fluviale del Brenta, giunge a Venezia. Vi sosta a lungo. Incantato dalla visione dei canali. E dalla meraviglia di San Marco. Le cui cupole gli sembrano due gigantesche granseole, come quelle di cui era ghiotto, e che degustava nelle locali osterie…
Poi va a Roma, a dialogare con i “giganti dormienti”. Le misteriose rovine dei Fori. E continua, sino a Palermo. Alla tomba di Federico II. Ma è lui a viaggiare. E, quindi, è in certo qual modo sempre lui che genera con la sua immaginazione il paesaggio e i luoghi che incontra…
Sono a Montagnaga di Pinè. Per il Wks del Nodo di Gordio. Vi sono giunto da Roma. E a Roma dovrò, poi, tornare. Viaggio con uno di quei treni ad alta velocità che, quasi, non ti permettono di veder scorrere il paesaggio dal finestrino. Davvero comprendi che tu non fai nulla. Vieni semplicemente spostato da un luogo all’altro. Però quando, qui, giungo ho sempre una strana sensazione. Come se il mio continuum spazio – temporale venisse sospeso. Ed io entrassi in una dimensione altra. Non solo, anzi non tanto fisica. È il paesaggio interiore che muta. Altre emozioni, prima ancora che altre percezioni. Emozioni che, certo, giacciono in me sempre. Ma che qui emergono prepotenti.
Improvvisa mi coglie una, insolita, felicità.
Sì… ho davvero viaggiato.
2 commenti
FELICITÀ RAGGIUNTA
SI CAMMINA PER TE SU FIL DI LAMA …
Parto dalla fine,che per me si fa inizio di un pensiero che domanda voce, poiché in questi giorni si susseguono brani dedicati a treni, luoghi, viaggiatori,ossia tutto ciò che descrive un unico vero viaggio,quello astrale, interiore, esigenza di chi scrive(forse)e di chi commenta(sebbene molto più limitato nelle visioni) e distante anni luce dai viaggiatori e viaggi che ormai infestano il mondo, ora muniti del semaforo verde imposto.
È una “legge”apparentemente semplice, da applicare anche all idea del viaggio, quell’ dell’ osservatore che modifica l osservato,eppure non è esattamente così, poiché oggi tutto è abusato da un’apparenza di conoscenza e comprensione delle cose,che riveste l ignoranza di un abito dorato più difficile da scalfire,sotto il quale sono andate già perdute (ed altre si perderanno), tante parole e con esse pensieri,concetti, possibilità,dunque viaggi stessi.
Questa è una piccola e nichilista descrizione della società contemporanea, molto personale e,pertanto, limitata e senza alcuna volontà di accusa e persuasione, e che pure rientra (sempre a mio avviso) nel discorso del viaggio.
Viaggiare fisicamente con lentezza è bandito nella società altamente tecnologica ed” avanzata”,eppure, allo stesso tempo , è diventato moda da un’altra parte, moda,ahimè, perché io non credo molto ai gruppi e tutto quello che ci ruota intorno.
E quanto questo mio divagare esigerebbe un lungo discorso,troppo noioso e fuori luogo, che nessuno leggerebbe, per cui lo chiudo,in parte.
Il “vero” viaggio è nella mente dei più grandi, sia che lo abbiano fatto fisicamente o solo dal “divano” di casa, ossia nelle visioni che essi danno a noi altri,che , diversamente, non saremmo capaci di vedere niente, neppure minimamente ciò in cui siamo immersi da sempre.
E ciò che vede in quel luogo colui che ha scritto l articolo, non è ciò che appartiene a tutti coloro che abitano in quel luogo, forse neppure a molti di essi.E,qui,di nuovo, inutile che mi dilunghi in questo stesso discorso circolare. Discorso, peraltro, che somiglia in tutto a me stesso, al mio muovermi sempre in tondo,guardandomi la coda come un cane, in grado ,difficilmente, quindi,di vedere altri orizzonti.Tipico dell’ inetto che si è, senza grandi speranze (e su queste scriverò, forse, perché riguardano quel verde/green di qualche giorno fa).
Il viaggio di Astolfo sulla Luna,con il “solito “Doré che, fortunatamente, ce lo ha illustrato,lo incrociai ,in uno strano pomeriggio di domenica, attraverso la voce di Vincenzo Sermonti,se non sbaglio,una vecchia registrazione per la radio.Andare a recuperare il senno di un pazzo innamorato!
Che parole! Chissà quante cose ci scrissi su, come sempre sull acqua!
Quella stessa voce, e qui sono certa,mi Animò una Notte,quando mi narrò alcune delle Metamorfosi di Ovidio.Ero sempre ferma,solito posto al buio, ma ero altro ed altrove,appagata per un attimo, in quei momenti, felicità raggiunta,mentre già dalle mani esala come fumo,come un ricordo, come l abbraccio in un sogno ad un’ombra che il giorno mette in fuga.
Dinanzi ad un allunaggio del genere, i nuovi viaggi venduti dagli Elon Musk di turno fanno provare ribrezzo .
Allora penso ad Itaca, al viaggio di Baudelaire, ad un verso/ epilogo, sentenza a cui non troviamo altre parole, di Giorgio Caproni (solo per citare i primi tra i pochi che conosco e che mi vengono in me e mente,tra una chiamata al dovere di mia figlia e di mia madre)per chiudere questa riflessione, infine con una musica, suggerita da un AS TIME GOES BY,oggi messo come un sottotitolo e che mi riporta a diverse interpretazioni, ma una su tutte, inevitabilmente, il Sinatra e Casablanca.
“Mentre il tempo passa”_”col passare del tempo”
NOi , si resta sempre più fermi ed abbarbicati nell’ unico nostro Tempo,che ci vive,mentre lo generiamo.
Il vecchio Frank, che oggi,nel cantarlo tra Bogart e la Bergman, mi riporta un suo pezzo tristissimo, che fu di un suo periodo di fine di un amore:
I’LL NEVER SMILE AGAIN.