Quella immagine mi segue.
Era dentro di me, silente, da quasi quarant’anni.
Ricordo dai monti.
Vacanze della mia giovinezza.
Primo ragazzo. Aveva una bellissima famiglia.
Estate e inverno ero sempre loro ospite tra quei monti.
Giornate sfrenate, sciate infinite.
Sere attorno ad un tavolo popolato e imbandito. Fino a tardi a ridere e giocare a carte.
Una banda di adulti affettuosi e ragazzi vivaci.
Età spensierata quella.
I primi falò tra i boschi. Le prime sbronze.
Affiatamento.
In quell’albergo rustico di stile tirolese e profumato di frittelle mattutine.
Era proprio bello il mio primo ragazzo adesso che ci ripenso.
Un compagno di scuola.
Biondo, fisico adeguato, sorriso da attore americano.
Ci siamo lasciati con dolcezza e senza rancore.
Ognuno per la sua strada.
La sua sua famiglia ha continuato a volermi bene.
L’ho rivisto un anno fa, al funerale di suo padre.
Non potevo mancare.
Ci sono persone che si lasciano, ma non si lasciano mai.
Molti ricordi di quel padre così solido, per me che allora non l’avevo già più.
Sorrido pensando a quando mi metteva la purga nella minestra, per far funzionare meglio il mio intestino.
Sono ritornata lì quest’estate.
Mia figlia non conosceva i luoghi ed io ho avuto l’impulso di tornare.
Il vecchio albergo è stato finemente ristrutturato nel 2014. Nulla appare come prima.
Siamo fuggite dal caldo della città per ritrovarci nella frescura di una fantastica cena all’aperto illuminata da mille lucette decorative all’ombra dei monti.
Tutto bellissimo, ma diverso.
Eppure, mentre cenavo, ho guardato alla mia destra.
L’angolo a vetrata dello stabile era buio perché tutti erano fuori.
Ma il tremolio di alcune candele ha disvelato, solo a me, le ombre dell’antica felice comitiva.
Presente e passato ad un tempo.
Ho risentito il calore di quell’attimo.
E ho riconosciuto nella dissolvenza i suoi protagonisti.
Quella immagine mi segue come le lucette brillanti di Natale che io accendo tutto l’anno nelle sere speciali.
Momenti belli.
Unica eternità umanamente possibile.