Spero di non riuscire troppo noioso ai miei pochi lettori con queste riflessioni. Ma è da molto tempo che vado rimuginando alcune idee, o meglio dei pensieri sparsi, senza alcuna pretesa sistematica. E, soprattutto, senza la pretesa di avere una certezza o, peggio, una risposta definitiva. Solo dubbi.
Dunque.
Gli Stati Nazionali. La realtà, politica, cui siamo, da sempre, abituati. Oddio… da sempre poi no. Perché prima del 1500, praticamente non esistevano. Anzi, erano cosa completamente sconosciuta. E, poi, sono diventati il modello dominante solo con il secolo XIX. E col Romanticismo, che ci ha messo parecchio del suo. Anche se, va detto, l’idea moderna di Stato Nazionale è uno dei tanti figli della Rivoluzione Francese. E, a parer mio, non il figlio peggiore.
Prima, l’identità era definita dall’appartenenza ad un popolo, ad una città, ad una comunità culturale, linguistica… non contava, tanto, l’organizzazione statuale. Si poteva essere sudditi dell’Imperatore, italiani per lingua e cultura e, che so, fiorentini come patria. Come era, e soprattutto si sentiva, Dante.
Insomma, la questione dell’appartenenza, dell’identità era assai complessa. Forse l’unica rappresentazione, diciamo così, geometrica è quella di un insieme di cerchi concentrici.
Poi questa identità è stata infranta. Le monarchie barocche hanno cominciato a preparare il terreno per gli stati burocratici e centralizzati. La Riforma ha distrutto l’unità religiosa. E i Romantici, con l’idea di Nazione, hanno fatto il resto.
Con i suoi pregi, e i suoi difetti, il sistema degli Stati Nazionali è perdurato sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Trionfando, in apparenza, dopo il 1918, con la dissoluzione di due degli ultimi Imperi sovranazionali. Quello asburgico e quello ottomano.
Restò, però, in piedi quello russo. Sotto la forma sovietica. Con un collante, in apparenza, dettato dalla ideologia. L’internazionalismo venne a sostituire la vecchia entità sovranazionale. Conculcando le identità dei popoli, come mai i vecchi imperi avevano fatto.
Dopo il ’45, però, la politica dei blocchi contrapposti, ovvero la Guerra Fredda, ha messo definitivamente in crisi il sistema degli Stati Nazionali. Di fatto progressivamente esautorati della loro capacità di manovra, e costretti all’obbedienza delle due Super-potenze.
Ora la situazione è solo di poco mutata. Il crollo dell’URSS non ha fatto risorgere gli Stati Nazionali come inteso storicamente. Piuttosto i tribalismi etnici che assumono, talvolta, l’aspetto di nazionalismi esasperati. E che, però, favoriscono solo il gioco neo-coloniale (ma sì, usiamo pure questo termine) di potenze ben maggiori.
La partita, il Grande Gioco, oggi non è più fra Imperi e Stati Nazione. E neppure fra Imperi contrapposti. È lo scontro tra due visioni globali. Se vogliamo tra quella di un mondo unipolare, quindi con uno solo al comando, che detta regole, determina modelli politici, economici e culturali a suo, esclusivo, arbitrio. E, naturalmente, guardando innanzitutto al proprio interesse.
E quella multipolare, ovvero di, alcuni, in sostanza pochi, blocchi che si confrontano, scontrano, cercano punti di contatto. A seconda del momento. E delle convenienze.
Gli Stati Nazione continuano a sopravvivere. Forti solo nel sentimento, e memoria, di, ormai, troppo pochi. Un legame che, di fronte alla realtà, risulta spesso anacronistico. Perché contrasta con il dato di fatto di una sovranità sempre più limitata. Di governanti che altro non sono, ormai, che esecutori, più o meno intelligenti (spesso meno) di ordini che arrivano da altrove… dai veri centri di potere.
E tuttavia questa situazione non risolve il dubbio. Lo Stato Nazionale ha ancora una sua funzione? O popoli, culture, lingue devono trovare altre forme per tutelarsi da egemonie troppo… invasive?