Il ballottaggio per le elezioni presidenziali in Colombia ha visto l’affermazione di Ivan Duque: il quarantunenne delfino dell’ex presidente Alvaro Uribe ha trionfato con il 54% delle preferenze ottenendo quasi tre milioni di voti in più rispetto al primo turno.
Lo sfidante Gustavo Petro, candidato della sinistra con un passato da ex guerrigliero, non è riuscito nella rimonta pur ottenendo quasi otto milioni di voti (tre milioni più che al primo turno).
Segnali importanti da non sottovalutare restano l’alta percentuale di astenuti, dato che si sono recati alle urne solo il 44% degli aventi diritto, e le ben 800.000 schede bianche.
La nazione sudamericana da sempre vicina agli interessi degli Stati Uniti nel subcontinente dovrà ora fare i conti con le ripercussioni di questa elezione sul trattato di pace con le Farc, la cui attuazione è a forte rischio già a partire dalle prime dichiarazioni del presidente neoeletto, e sul dialogo iniziato a Quito in Ecuador con l’Esercito di Liberazione Nazionale, l’ultimo gruppo armato ancora attivo nel Paese.
Dal punto di vista economico non dovrebbe variare molto l’impostazione del nuovo esecutivo dalla strategia liberista dell’uscente Santos mentre è scontata l’adesione, già annunciata dal governo uscente poco prima del primo turno delle presidenziali, alla NATO.
La sinistra potrà e dovrà ripartire dai dati che le hanno permesso di arrivare al secondo turno nonostante la divisione tra Petro e Fajardo e che l’hanno vista trionfare in alcuni dipartimenti e nelle principali città dello Stato tra cui la capitale Bogotà.
Duque dovrà anche fare i conti con i due rami del Parlamento che hanno una composizione molto frastagliata in seguito alle votazioni di fine marzo.