Il maialetto sardo, uno dei piatti tradizionali più apprezzato dalla popolazione locale e dai turisti, è sotto attacco. Ma non per qualche nuova follia di euroburocati.
È una legge regionale che mette a rischio la sopravvivenza degli allevamenti famigliari.
“Correggiamo la ‘legge porcata’, alla ripresa dei lavori venga votata la nostra proposta di legge che modifica gli errori della precedente e tuteli gli allevamenti famigliari e la produzione del maialetto sardo”, chiedono i consiglieri regionali Gianni Lampis e Paolo Truzzu che hanno presentato una proposta di legge per modificare il “famigerato” articolo 4, comma 2, della legge regionale n. 28 sulla suinicoltura.
“Nella tradizione sarda il maiale non è legato esclusivamente all’aspetto prettamente alimentare e di sostentamento, ma anche (e soprattutto) all’aspetto culturale, tanto da coniugare la tradizione ultra millenaria del porceddu come sinonimo di sardità”, ricorda Truzzu.
“La legge 28/2018, con l’art. 4, comma 2, cancella millenni di tradizione alimentare e socio-culturale, a totale detrimento dei piccoli allevamenti famigliari che soprattutto nelle zone interne dell’Isola costituiscono non solo un’integrazione al reddito, ma anche un elemento antropologico ed esistenziale”, aggiunge.
“Il 90% degli allevamenti in Sardegna non supera le 4 unità, per cui i loro conduttori, se vorranno continuare ad allevare maiali in proprio, lo potranno fare a scopi esclusivamente famigliari, dal momento che viene vietata qualsiasi tipo di commercializzazione”, è l’allarme di Lampis.
La proposta di modifica prevede che l’allevamento famigliare non possa superare le 4 unità, di cui massimo tre scrofe e un verro, fertili e in grado di riprodursi, con la possibilità di generare una produzione massima annuale di 40 suinetti.
“La modifica che proponiamo mira a garantire l’esistenza degli allevamenti famigliari nonché la tradizione millenaria de su porceddu, attraverso una sostanziale equiparazione degli stessi a quelli professionali, soprattutto dal punto di vista delle prescrizioni di legge in materia di benessere animale e di quelle igienico sanitarie finalizzate all’eradicazione della Psa, in modo tale da consentire la presenza negli stessi di scrofe e/o verri in grado di riprodursi, di garantire una produzione massima annua di suinetti e la commercializzazione degli stessi”, spiegano Truzzu e Lampis.
“Siamo certi che una simile proposta, di assoluto buon senso, in quanto tesa a stroncare eventuali fenomeni di abusivismo, garantendo comunque non solo un’importante voce di integrazione del reddito per alcuni nuclei famigliari, ma anche una tradizione millenaria e un fattore socioculturale geneticamente intrinseco alla nostra identità, nonché la qualità stessa dell’intera filiera, possa incontrare il favore di tutti i colleghi”.