Al Sisi trionfa nelle elezioni presidenziali egiziane con percentuali che un tempo si sarebbero definite “bulgare” ma che ormai rientrano nella logica della democratura, l’incrocio linguistico tra democrazia e dittatura ma che, più semplicemente, rappresenta la risposta alla mancanza di una classe dirigente decente, sostituita dall’uomo solo al comando
Però simili vittorie trionfali non piacciono ai commentatori italiani seguaci del pensiero unico obbligatorio e, di conseguenza, si mettono in evidenza le criticità.
Nel caso di Al Sisi e dell’Egitto, poi, le analisi rasentano la comicità, soprattutto se confrontate con quelle che gli stessi esperti avevano divulgato nei giorni scorsi a proposito del voto per le presidenziali russe.
Dunque, per i disinformatori italiani, Al Sisi è delegittimato dalla bassa partecipazione al voto. Verissimo, hanno votato in pochi, proprio come succede negli Stati Uniti, tanto per citare un Paese a caso. Peccato che gli stessi faziosi in servizio permanente effettivo avessero tuonato contro Putin che premeva affinché i russi andassero a votare.
Non hanno potuto, gli analisti di casa nostra, contestare il successo del presidente russo e, di conseguenza, hanno protestato per le pressioni per recarsi alle urne. Troppi votanti. E troppo pochi in Egitto. Insomma non va bene niente.
A meno che gli elettori non scelgano i candidati che piacciono alla compagnia di giro dei commentatori italiani. Peccato che il movimento russo che entusiasma i disinformatori italiani abbia in Russia, nella migliore delle ipotesi, lo stesso seguito di Emma Bonino in Italia.
Ancora più imbarazzante la situazione in Egitto. Al Sisi è brutto e cattivo, ma ha eliminato i Fratelli Musulmani che erano più brutti e cattivi di lui. Che si fa, allora? Lo si critica o lo si appoggia?
L’alternativa, alle presidenziali, era rappresentata da un candidato filo governativo e quindi poco convincente come avversario. In pratica era come se in Italia la sfida fosse tra Berlusconi e Tajani, tra Renzi e Martina, tra Salvini e Fontana, tra Di Maio e Taverna.
Assolutamente da evitare, inoltre, ogni approfondimento sul caso Regeni. Perché vorrebbe dire limitarsi alle consuete banalità oppure, se si vuol essere seri, bisognerebbe coinvolgere i servizi segreti inglesi e l’Universita’ di Cambridge (già, sempre quella). Ma il servilismo nei confronti di Londra impone di glissare. Meglio dedicarsi alle discussioni su quale sia la quota di astensionismo ideale nei diversi Paesi.
Come sempre, meglio parlare dell’elefante come consigliava Longanesi ai giornalisti che tengono famiglia.