In Italia si registra un forte calo dei coniugati e un aumento dei divorzi.
È quanto rilevato dall’Istat in un report divulgato nei giorni scorsi.
“La diminuzione e la posticipazione della nuzialità, in atto da oltre quaranta anni – spiega Istat – ha portato tra il 1991 e il 2018 a un forte calo dei coniugati, soprattutto nella classe di età 25-34 anni. Nella classe di età 45-54 anni quasi un uomo su quattro non si è mai sposato mentre è nubile quasi il 18% delle donne. Aumentano in tutte le età divorziati e divorziate, più che quadruplicati dal 1991, principalmente nella classe 55-64 anni”.
In altre parole gli italiani, dal ’91 ad oggi, tendono a sposarsi sempre più tardi.
Ma ciò che l’Istituto di Statistica non dice sono i motivi per cui ciò accade.
Come si può pretendere che mettano su famiglia, con tutto ciò che comporta, ragazzi che non riescono a trovare un’occupazione stabile? E come si può chiedere loro di avviare un’attività in proprio dal momento che mettere in piedi un’impresa, sia commerciale che artigianale, è diventato sempre più difficile a causa degli alti costi e delle mille incombenze burocratiche?
Nello stesso documento, sempre l’Istat ci fa sapere inoltre che nel luglio scorso “gli occupati sono diminuiti dello 0,1% (-28.000 unità) rispetto a giugno, mese in cui si era già registrato un calo di 41.000 unità. Aumentano invece gli inattivi dello 0,7%, cioè di 89 mila persone”.
Il che dimostra che i nostri giovani sono sempre più scoraggiati mentre aumentano coloro che un lavoro non lo cercano neppure più.
E a poco servirà l’avvio, a partire dal nuovo anno scolastico, della riforma degli istituti Professionali. Al momento il provvedimento che dovrebbe agevolare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, è allo stato sperimentale. Nel senso che neppure gli insegnanti che lo dovranno attuare hanno le idee chiare, a causa di una legislazione farraginosa imposta da burocrati ministeriali che conoscono le realtà scolastiche solo per sentito dire. E anche ammesso che la riforma si avvii, ci vorranno comunque cinque anni perché il primo corso di studi venga completato, e chissà quanto altro tempo perché se ne possano verificare gli effetti.
È ragionevole pensare che di qui ai prossimi anni gli Istituti Professionali, ai quali da sempre approdano gli studenti più deboli, sfornino giovani sempre poco preparati sul piano professionale ma certamente ancor più deboli sul piano culturale.
Basti pensare che, per fare solo un esempio, a partire dall’anno in corso, queste scuole vedranno le ore di Storia ridotte a una sola la settimana; la metà di quelle di Educazione Fisica!
E dopo che, da anni, nella scuola media non si insegna più storia antica.
E poi ci si lamenta se l’ignoranza aumenta, e, con lei, la disoccupazione!