Antimonio in Toscana, titanio in Liguria, litio in Germania sotto il Reno. La transizione informatica e quella ecologica potrebbero non essere più condizionate dalle importazioni di materie prime dalla Cina o dal Cile, dall’Australia o dalla Groenlandia. I giacimenti italiani sarebbero i più grandi d’Europa ed i secondi nel mondo. Quello nella valle del Reno, appena scoperto, potrebbe consentire di fornire batterie per 400 milioni di auto elettriche.
Un cambiamento epocale anche in ambito geopolitico. In teoria, solo in teoria però. Perché in Germania si stanno già confrontando gruppi e tecnologie per estrarre il litio con le minori ricadute sull’ambiente circostante. Ma l’Italia è ferma all’annuncio della scoperta avvenuta 10 anni orsono. Da allora non è successo nulla. Il consueto effetto annuncio, un bel convegno un paio d’anni più tardi, mirabolanti prospettive e poi tutto è stato dimenticato.

Non c’era ancora il progetto della rivoluzione verde che utilizzerà le nuove tecnologie, ma era già importante non muoversi, non prendere iniziative. Perché l’Italia ha una strana concezione della difesa ambientale.
Bisogna tutelare le montagne? Tutti concordano, poi arrivano gli ambientalisti duri e puri, che in città si spaventano se incontrano un gatto, ed impongono di eliminare i pastori poiché infastidiscono lupi ed orsi. I pastori se ne vanno, i paesini si svuotano e le montagne franano perché nessuno le cura più. Non bastano lupi ed orsi per pulire i boschi, ripristinare la rete di canali che alleggeriscono la pressione delle acque, intervenire contro gli incendi.
Bisogna ridurre gli spostamenti per inquinare di meno? E gli assessori cancellano lo smartworking per obbligare i dipendenti a mangiare nei bar del centro.
Bisogna utilizzare le nuove tecnologie per eliminare il consumo di carta, per collegarsi a distanza, per evitare lunghe trasferte? E si acquistano in Cina, in Australia o in America Latina i metalli rari indispensabili per realizzare le tecnologie avanzate. Si acquistano dall’altra parte del mondo per evitare di scavare in Italia. Perché una miniera in Italia inquina mentre se si inquina cento volte di più in Paesi lontani nessuno se ne accorge. E non ci si accorge dei costi anche ambientali per il trasporto delle materie prime.
In compenso nei luoghi preservati dagli scavi si possono realizzare orrendi condomini perché scempiare coste e montagne non è un crimine contro l’ambiente.

Ma gli imprenditori si lamentano per le regole anti inquinamento che, in Italia, sarebbero troppo severe. Il che è vero e falso allo stesso momento. Perché le norme sono severe, le pene previste anche eccessive, ma nella realtà si inquina senza problemi e senza pagare per i danni provocati. Sanatorie per le case costruite dove non si potrebbe, inquinamenti in ogni dove per scarichi non a norma, per depuratori inesistenti, per ciminiere non in regola. Però guai a sbagliare un documento totalmente inutile. Perché gli errori formali vengono sanzionati, quelli “veri” vengono ignorati.
Non si vogliono vedere fumi tossici e fiumi dove i pesci muoiono, gli scarichi abusivi di materiale pericoloso, i rifiuti gettati nei prati e nei mari. L’importante è non scavare per ottenere le terre rare. Con il rischio di diventare indipendenti per materie prime che potrebbero favorire la competitività di aziende italiane. Indubbiamente si tratta di evitare il pericolo, gravissimo, di creare occupazione rendendo superfluo il reddito di cittadinanza per i renitenti alla vanga. Le aprano in Cina, le miniere. Costruiscano loro le nuove tecnologie, creino loro nuova occupazione. Oppure lo facciano i tedeschi.
Noi ci dobbiamo occupare della tratta degli schiavi, ci dobbiamo impegnare per desertificare le montagne. E sino a quando il reddito di cittadinanza sarà sufficiente compreremo smartphone cinesi. Insieme ai monopattini cinesi. Mentre saranno i cinesi ad acquistare le batterie al litio tedesche per le case automobilistiche di Pechino. Perché gli italiani riusciranno ad andare a piedi nella lunga trasferta tra il bagno e la cucina.