È l’ora del Dragonboat. In un’Italia sempre pronta a saltare sul carro del vincitore, questa volta bisognerà – per il consueto servilismo – saltare sull’imbarcazione il cui nome richiama quello del nuovo unto dal signore, del salvatore della patria, del futuro presidente della repubblica: Mario Draghi. E poi, servilismo più servilismo meno, si rende anche omaggio alla Cina che si sta comprando l’Italia.

Ci sarà tempo per scoprire se Draghi è arrivato per rendere più forte l’Europa nei confronti di Pechino o se risponderà – come un Renzi qualunque – agli ordini di Biden e delle centrali finanziarie americane. È vero che le colpe dei figli non ricadono sui padri, ma chissà se l’attività professionale di Draghi junior influirà sulle decisioni del presidente del consiglio incaricato.
In attesa di capire, gli italiani si andranno ad iscrivere in massa alle società di canottaggio per dedicarsi ai dragoni. Simbolo della nuova Italia in cerca di padroni. Simbolo perfetto, peraltro. Con la testa del dragone a ricordare il ruolo trainante della Cina mentre gli schiavi italiani saranno messi ai remi. Alle pagaie, in realtà, ma non è il caso di sottilizzare.
Imbarcazione cinese e lavoro italiano. Draghi potrà essere soddisfatto. E poi con il dragone si è obbligati a pagaiare non solo nella stessa direzione, ma anche tutti insieme. Un modello formativo fondamentale per i poco ordinati italiani. Che già hanno sempre avuto difficoltà a galleggiare, figurarsi a sincronizzarsi per pagaiare in una sola direzione.

Certo, quelli che si siedono a poppa tendono ad impegnarsi di meno. Lasciano che a pagaiare siano quelli delle prime file che, guardando in avanti, non possono controllare se quelli dietro tirano i remi in barca e attendono il reddito di pagaiata. Da renitenti alla vanga a renitenti alla vogata, il passo è breve e si compie in un attimo.