“Sì! Voglia di magare/mi tuffo già nel blu degli occhi tuoi..”. Questa volta non servono i Romans (per i pochi che se li ricordano) per spiegare la corsa all’acquisto di nuove barche anche da parte degli italiani. Merito del governo, indubbiamente. E non per il varo di una politica industriale, che non esiste. Neppure per una inesistente crescita del livello di fiducia nel futuro. Ma, semplicemente, perché il clima persecutorio, la minaccia di nuovi arresti domiciliari di massa, la prosecuzione di misure coercitive spingono i più ricchi a rifugiarsi sulle barche, in mezzo al mare, per garantirsi qualche spazio di libertà.
Gli industriali del settore, ovviamente, ringraziano. Gli ordini di nuove barche sono schizzati alle stelle, nei cantieri si lavora a pieno regime. Ed a festeggiare non sono soltanto loro. Perché in un Paese collocato al centro del Mediterraneo il boom della nautica significa anche un improvviso e rinnovato interesse per i porti, per le marine. L’intero settore si sta muovendo, con l’interessamento di operatori del settore e di fondi internazionali di investimento che credono in un business potenzialmente di lunga durata.
Il mare come via di fuga, dunque. Fuga dalla banda Speranza, dalla folla delle spiagge, dalla delinquenza non contrastata da Lamorgese e dalla magistratura. Una fuga per pochi, ovviamente. Pronti ad organizzare feste con assembramenti su mega yacht che non vengono disturbati da quelle forze dell’ordine che davano la caccia ai pagaiatori solitari in kayak. D’altronde le valorose truppe di Lamorgese non osano neppure disturbare i rave clandestini con migliaia di partecipanti ma, in compenso, sono coraggiosamente pronte ad intervenire contro una decina di commensali senza Green pass ad un matrimonio.
Dunque chi spende a sufficienza per garantirsi una barca da ricchi può tranquillamente riconquistare una agognata libertà. A differenza di chi può permettersi solo una o due settimane di vacanza su una spiaggia (sempre meno libera) nel periodo di ferragosto. Ma al di là delle limitazioni imposte dalla banda Speranza, la nuova tendenza del turismo marino dovrebbe far riflettere gli operatori del turismo montano. Troppo spesso privi di una visione strategica che vada oltre l’aumento dei prezzi per approfittare dei polli da spennare.
Da un lato le marine, sempre più curate e con servizi di ogni tipo. Dall’altro colate di cemento per accontentare speculatori ed amici vari, con servizi inesistenti e con un’accoglienza inadeguata.
Non a caso in Trentino – comunque il territorio dove il turismo alpino ottiene maggiori attenzioni – si riparte con il progetto “La speranza divampa” per analizzare le prospettive di un settore che avrebbe bisogno di amministratori diversi in molti altri territori alpini.