Pare che in Qatar, tra una pagliacciata ed una polemica, si giochi persino a calcio. Pare che si stia disputando il Campionato mondiale. Pare, perché vedendo le trasmissioni Rai ed ascoltando i commentatori politicamente corretti, sembrerebbe che negli stadi sia in corso un dibattito sulla dittatura woke, amata dai chierici strapagati con il canone imposto ai contribuenti italiani e molto meno amata dal non foltissimo pubblico pagante.
Chi ha scelto di volare a Doha lo ha fatto per seguire la propria nazionale, per veder giocare i calciatori migliori. Non per discutere sui gusti sessuali del mondo intero. E lo stesso obiettivo lo avrebbero anche i telespettatori italiani che pagano il canone per vedere le partite e per ascoltare commenti tecnici, non per sorbirsi le considerazioni di Marchisio e compagni sul politicamente corretto, sul pensiero unico obbligatorio, sulle polemiche nei confronti della Fifa per il fondamentale colore della fascia da capitano delle diverse nazionali.
Va bene che la nazionale italiana non si è qualificata per i Mondiali del Qatar, ma non è che per invidia si devono cancellare le prestazioni sportive delle squadre che scendono in campo per sostituirle con noiosissime analisi sociopolitiche e geopolitiche da parte di chi non ha neppure la competenza per affrontarle.
Analisi a senso unico che, tra l’altro, hanno anche portato sfortuna ai tedeschi impegnati più nella farsa pre partita che nei 90 minuti successivi. Una débâcle, contro il Giappone, che ricorda l’Italia sconfitta dalla Corea del Nord. Ma è stata sufficiente l’ipocrita pagliacciata politica per mettere in secondo piano la pessima figura sportiva. Se lo avessero saputo, Mazzola e Rivera, Landini e Janich avrebbero salutato il pubblico con il pugno chiuso al termine della partita e la disfatta contro la Corea sarebbe stata facilmente dimenticata. O forse no. Perché in quegli anni, a commentare le partite, non c’erano Marchisio e compagni.