Il 1° marzo il leader del Partido Nacional (Partito Nazionale, PN) Luis Lacalle Pou subentrerà alla presidenza della nazione sudamericana e all’attuale inquilino di Palazzo Estévez Tabaré Vázquez.
Dopo tre mandati consecutivi alla guida del piccolo stato latinoamericano il Frente Amplio (Fronte Ampio, FA) tornerà a sedere sui banchi dell’opposizione in un Parlamento che potrebbe garantire la governabilità alla destra solo se la coalizione tra il PN, il Partido Colorado (Partito Colorato, PC), Cabildo Abierto (Capitolo Aperto, CA) e il Partito Indipendiente (Partito Indipendente, PI) saprà trovare un’agenda condivisa.
In questo modo la maggioranza avrebbe 54 dei 99 seggi dell’unica Camera del Paese. L’alleanza elettorale è stata determinante nel consegnare, lo scorso novembre, la vittoria al figlio dell’ex presidente Luis Lacalle Herrera. E’ stata la convergenza dei voti ottenuti al primo turno dai candidati del PC, Ernesto Talvi, del CA, Guido Manini Ríos, e di Pablo Mieres del PI a consentire a Lacalle Pou di incrementare il proprio bottino da 685.595 a 1.168.019 voti.
Lo scarto minimo con il quale il leader di centrodestra si è imposto sull’ex sindaco di Montevideo Daniel Martinez costrinse anche ad un delicato riconteggio al fine di evitare il ripetersi della situazione boliviana con scontri e accuse di brogli da parte delle due principali fazioni. I 37.000 voti di differenza tra i due sfidanti al ballottaggio sono giunti principalmente dalle aree rurali dell’Uruguay mentre il FA è riuscito ad affermarsi in soli due dei diciassette dipartimenti che compongono lo stato uruguaiano tra cui quello della capitale.
Un dato positivo per entrambi gli schieramenti è la conferma di un’altissima partecipazione popolare al voto che, nell’ultima occasione, ha sfiorato il 90% degli aventi diritto.
In campo internazionale il quarantaseienne neopresidente potrebbe spingere l’Uruguay verso le posizioni reazionarie di Bolsonaro e allontanarlo dal nuovo corso peronista argentino oltre che da quello del Venezuela bolivariano. E’ sul versante economico, però, che la capacità di tenuta del nuovo esecutivo sarà messa davvero alla prova per via del calo nella crescita costante che aveva contraddistinto, nell’intero subcontinente, la piccola nazione incastrata tra i giganti verde-oro e albiceleste.
Di sicuro la transizione pacifica del passaggio di testimone tra due visioni così differenti della politica rappresenta un buon segnale e quasi un unicum in una parte del mondo che è tornata a fare i conti con golpe, impeachment e guerre civili fomentate da attori esterni.