La caduta di Evo Morales in Bolivia ha riacceso i riflettori sul Venezuela bolivariano, indicato dagli Usa come un membro della Troika del male con il Nicaragua sandinista e la Cuba castrista.
L’eco dell’allontanamento di uno dei principali artefici del “socialismo del XXI secolo” dalla vicina nazione andina non sembra, però, aver generato l’effetto desiderato da Donald Trump in Venezuela. Solo qualche centinaio di irriducibili oppositori al governo socialista è nuovamente sceso in piazza in alcune città del Paese.
Dal punto di vista degli equilibri internazionali l’inquilino di Palazzo Miraflores può contare sull’appoggio di Cina e Russia sia in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che fra i membri dei Brics dove, invece, il Brasile a guida Bolsonaro si conferma essere uno dei principali nemici del chavismo.
Il burattino di fabbricazione statunitense Juan Guaidó è caduto nell’oblio ed è stato abbandonato anche da alcuni settori dell’opposizione che intendono riorganizzarsi per prendere parte al rinnovo dell’Assemblea Nazionale previsto per quest’anno. E’ proprio su queste basi che prosegue il dialogo tra la maggioranza del Partido Socialista Unido de Venezuela (Partito Socialista Unito del Venezuela, PSUV) e i gruppi più moderati della coalizione antichavista.
Il ritorno al voto, previsto dall’agenda aperta dai negoziati internazionali, permetterà di superare le reciproche accuse di invalidità dei provvedimenti assunti dall’Assemblea Nazionale, in cui la vastissima coalizione antisocialista ha una maggioranza dei 2/3 dal dicembre 2015, e dall’Assemblea Nazionale Costituente convocata da Maduro nel 2017 proprio per esautorare il Parlamento nazionale.
Il dialogo tra le parti ha permesso anche di decretare la nomina di nuovi membri del Consejo Nacional Electoral (Consiglio Nazionale Elettorale, CNE) al fine di garantire la massima trasparenza sul voto che sarà fissato per il terzo trimestre del 2020.
Di sicuro gli sconvolgimenti politici decretati dal golpe in Bolivia e dal ritorno del peronismo in Argentina bilanciano l’assetto nel subcontinente ma solo una vittoria elettorale larga e incontestabile potrebbe ridare ossigeno al populismo di matrice socialista nella nazione in cui partì, venti anni fa, la riscossa rivoluzionaria antiliberista.