L’incendio della Foresta Amazzonica ha posto il presidente brasiliano Jair Bolsonaro sulla graticola, attaccato contemporaneamente da suoi omologhi (su tutti il francese Emmanuel Macron), organizzazioni ambientaliste e singoli cittadini.
Purtroppo il “polmone della Terra” è sotto attacco anche nei territori extra-brasiliani. Nell’est della Bolivia sono già 950.000 gli ettari di vegetazione andati distrutti. Nonostante abbia prontamente sospeso il proprio tour elettorale in vista delle elezioni presidenziali di fine ottobre, ad essere finito nel mirino è l’attuale presidente Evo Morales.
Alcune ong, infatti, non hanno esitato ad accostare il decreto voluto dall’attuale maggioranza, che punta a rafforzare la produzione di carne destinata all’esportazione, al moltiplicarsi delle emergenze provocate dagli incendi. Secondo questa tesi ci sarebbe uno stretto legame tra i tanti roghi appiccati e il nuovo decreto per la precisa volontà da parte di agricoltori e allevatori di aumentare i terreni a disposizione delle proprie attività.
Eppure la regione di Chiquitano, ospitando 500 specie di animali a rischio d’estinzione e la popolazione indigena dei Chiquitani, sembra rappresentare perfettamente quella Pachamama (Madre Terra) che Evo Morales sostiene così fortemente da aver inserito la sua difesa nella Costituzione dello Stato plurinazionale.
Al fine di evitare ulteriori polemiche il leader di origine aymara ha annunciato lo stop alla vendita di terreni nella regione interessata dai roghi ottenendo anche l’elogio da parte della presidentessa dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite Maria Fernanda Espinosa per la lotta agli incendi.
Di sicuro la diatriba fra difesa ad oltranza dell’ambiente ed economia, nella sua sfaccettatura inerente l’ampliamento dei terreni da destinare ad agricoltura e allevamento o in quella relativa all’industria estrattiva, rappresenta una delle maggiori lotte sulle quali i governi dei Paesi del Sud del mondo si ritrovano a dover fare i conti e per i leader socialisti eletti sulle basi di programmi ambientalisti la scelta risulta ancor più difficile. In questo senso il voto di fine ottobre in Bolivia sarà significativo dell’indicazione popolare a riguardo.