Incontro un collega lungo il, lugubre e gelido, corridoio della scuola. Un collega giovane, poco più di quarant’anni. Due mascherine, quella della scuola e una personale, più “tecnica”. Non si sa mai…
“Hai fatto il vaccino? ” mi chiede, tenendosi a debita distanza.
Così senza preamboli, neppure un Ciao, un Come va?… Non ci vediamo da circa un mese…
Bofonchio un saluto. E mi allontano senza rispondere. Nei suoi occhi intravedo la luce del sospetto…

Entro in aula docenti. Qui i colleghi sono tre. Ciascuno a un lato diverso dell’aula. Distanziati. Mi fermo sulla porta. E ascolto.
Stanno conversando.
‘Io mi faccio il Moderna. L’ ho prenotato. Per fine maggio, purtroppo.”
“Fine Maggio? Ma è tanto in là… Io ho fatto subito l’Astrazeneca. Uno dei primi. E domani ho già la seconda dose…”
“Beata te… – sospira. Un vecchio professore di Matematica. Uomo serio. Intelligente. Un tempo, non lontano, parlava sempre di studenti, compiti, di come far capire quel teorema… – ” Io non ho potuto, purtroppo. Controindicato per ragioni di salute”, e spalanca le braccia con fare desolato.
Lei, una insegnante di inglese, capelli rossi, una bella donna cui piaceva mettersi in mostra ed essere ammirata, lo guarda con compatimento.
“Su, su, coraggio. L’importante è farlo. Non quale fai…”
Interviene un terzo. Giovane. Un supplente. Un ragazzino dall’aria sportiva
“Io ho scelto il Jonson & Johnson. Mi dà più affidamento. Sarà la marca… Tra due settimane. Non vedo l’ora…”
Si accorgono della mia presenza.
“E tu che ti fai? ” la rossa. Sembra ammiccare, anche dicendo questo. Decisamente la volpe…
“Io… io preferisco un prosecco. Grazie.” la battuta cade nel silenzio. Mi guardano tutti e tre. Perplessi.
Mi allontano. E scendo in cortile.

Un tempo esisteva la conversazione. La civile conversazione, come la chiamava Leopardi, lamentando il declino di quella civiltà, tutta settecentesca. E sulla quale Benedetta Craveri ha scritto un saggio di rara eleganza. Che ho letto affascinato. Come fosse un grande romanzo. Civiltà terminata con l’età delle ideologie. Tutti urlano, scrive il Recanatese, per imporsi sugli altri. Nessuno più sa ascoltare. Nessuno più sa cosa sia conversare.
Chissà che penserebbe oggi… Di fronte a questo, insistente, ossessivo, parlare sempre di un solo, unico, tema. Virus, contagi, tamponi, vaccini. Ovunque. Dal supermercato al bar. Dall’aula insegnanti del liceo al bus carico di operai. Non conta il livello di istruzione. I libri che hai letto. La vita e le esperienze che hai vissuto. Le tue idee politiche… Il lavaggio del cervello mediatico, la paura di morire diffusa capillarmente ha piallato tutto. E tutti. Si è realizzata l’utopia dell’uguaglianza. Al livello più basso. Sub-umano.
Mi domando – e so che è, alla fin fine, domanda oziosa – che cosa possa ancora fare, sperare, creare un’umanità come questa… Nel caso specifico, cosa possano insegnare ai loro allievi insegnanti come questi. Anche se conoscono le loro materie, non sono più in grado di trasmetterle. Anche semplicemente di pensarle. La loro ossessione è sopravvivere. Il vaccino, il vaccino…
In cortile mi accendo la pipa. È proibito nel recinto della scuola. Ma, sinceramente, ormai me ne frego.
Mi viene incontro una collega. Un’altra che non vedo da tempo. È quella che, tra me e me, chiamo la fricchettona. E so che lei mi chiama “fascio”. Non del tutto a torto…
Ciao. Mi dice. Come stai?
Poi si abbassa la mascherina e sorride ironica.
“Che facciamo? Ci salutiamo col gomito?”
Rido. Sinceramente preferirei in altro modo, rispondo.
Lei scoppia in una risata. E mi abbraccia.