E così siamo di nuovo al lockdown! Scongiurato, spergiurato, negato per mesi, nonostante anatemi e scaramanzie da parte del Presidente del Consiglio: ebbene, proprio lui ci riporta alla misura più estrema nei confronti della nostra libertà di cittadini. Però forse stavolta il massimo responsabile del Governo italiano non ha tutte le colpe di questa decisione.
Intanto, questa nuova chiusura delle attività economiche e dei luoghi pubblici, sebbene solo per quelle considerate “non essenziali”, non è generale, unitaria, omogenea per tutto il paese ma sarà variabile e “a macchia di leopardo”, secondo i parametri e i dati in possesso alle autorità che stanno gestendo questa crisi epidemica da Covid19.
Infatti, già dal primo annuncio del provvedimento sappiamo che alcune regioni, in base ai numeri di ricoveri e contagi in mano all’Istituto Superiore della Sanità, al Comitato Tecnico Scientifico e al Ministero della Salute, saranno costrette alla misura di intervento più grave, quella rossa, che prevede la chiusura degli esercizi commerciali (ivi inclusi i centri della GDO e i mercati), fatti salvi i beni di prima necessità e alcuni prodotti indicati da una tabella, delle attività di servizio alla persona e degli uffici professionali: esse sono Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta e Calabria, anche se inizialmente c’erano anche numerosi comuni della Provincia Autonoma di Bolzano.
Solo in queste aree si attua il blocco agli spostamenti, nonché delle lezioni in presenza per le scuole di secondo grado e per le prime e seconde medie, che durerà per almeno trenta giorni a partire dal 5 novembre, fino perlomeno a nuova deliberazione del ministro competente.
Seguono la Puglia e la Sicilia messe in stato arancione (mentre nella notte sono diventate gialle anche Veneto, Liguria e Campania), con misure appena meno gravi ma comunque fortemente limitanti della libertà civili ed economiche dei cittadini.
Tutte le altre regioni e province sono in stato giallo, sebbene solo poche ore prima dell’emanazione e pubblicazione del dpcm fossero tutto in stato verde di normalità. Per tutto il territorio vige comunque il “coprifuoco” serale, dalle ore 22 fino alle 5 del mattino, che impedisce a chiunque di uscire di casa o di spostarsi, salvo per comprovati motivi di salute di lavoro o di necessità.
Inoltre, sarà obbligatorio limitare la capienza dei mezzi pubblici al 50%, la didattica a distanza nelle scuole secondarie, l’accesso a musei cinema e mostre, nonché ai luoghi di gioco d’azzardo e ludici. Inoltre, i centri commerciali resteranno chiusi nei giorni festivi e pre-festivi, sempre escludendo la rivendita di beni alimentari e di prima necessità, quali i farmaci ad esempio. Anche gli spostamenti da/per le regioni rosse ed arancioni sono bloccati, così come i mercati e i bar e negozi, salvo che non si tratti di consegna a domicilio o vendita da asporto o di beni di prima necessità.
Come si può comprendere, la situazione è complicata e confusa, viste le leggere differenze di grado di limitazioni fra regioni rosse e arancioni, il cui stato colorato è però già cambiato tre volte ancor prima che questo nuovo dpcm fosse pubblicato.
Resta pertanto da capire come, quando e con quale frequenza il Ministro alla salute potrà cambiare lo status colorato dei vari territori e, quindi, rendere più o meno restrittive le misure. Non ci è dato sapere se il valore di riferimento per le scelte prese dal dicastero sia l’ormai famigerato “RT” (tasso di contagiosità in funzione della densità abitativa), oppure il rapporto fra contagiati e tamponi (che però varia decisamente dal sabato al martedì), ormai diventato il parametro per stabilire la condizione di rischio epidemico, o ancora invece il livello di riempimento degli ospedali e reparti Covid e soprattutto la capacità di queste sedi di accogliere tutti i potenziali infetti.
Resta fitto il mistero sulle ultime scelte inerenti la Campania, il Lazio, l’Emilia Romagna e la Toscana, messe in giallo quando i numeri di contagio denunciati nella giornata di emanazione del decreto molto superiori a quelli della Sicilia, che però invece è stata bollata come arancione. La Campania ha avuto addirittura più contagi di tutte le altre regioni, esclusa la solita Lombardia, ma paradossalmente è stata considerata dal Ministro alla salute un luogo tranquillo e scarsamente pericoloso. Eppure solo pochi giorni fa il Governatore campano andava su tutte le tv a lamentare una crisi sanitaria incontrollabile e aveva intenzione di dichiarare lui stesso il lockdown regionale. Mah!
È evidente a tutti, comunque sia, che il Governo è stato assai carente nel provvedere a potenziare il sistema sanitario nazionale per fronteggiare il ritorno del virus, peraltro ampiamente previsto e annunciato persino dalle autorità sanitarie mondiali. Come lascia perplessi la mancata sospensione del Trattato di Schengen rispetto ai partner dell’Unione Europea, dove la nuova ondata di Covid19 è potente da settimane, costringendo i governi locali a misure più drastiche da diversi giorni, mentre invece si bloccano gli spostamenti all’interno degli enti locali o dell’intero paese.
Eppure in quei paesi il colore indicato dalle autorità sanitarie continentali è rosso.. ad eccezione di Germania e Austria, che hanno intenzione di sbarrare la strada agli italiani. Scelte davvero incomprensibili… Come lo fu il ritardato stop, a inizio crisi, ai voli provenienti dalla Cina o da altri paesi per coloro che avevano viaggiato nell’immenso stato asiatico, soprattutto durante l’annuale Carnevale che richiama in patria milioni e milioni di cinesi, tenutosi proprio nel momento in cui il virus esplodeva nella città di Wuhan per poi diffondersi all’intero pianeta.
Ricordiamo che la fase (o le fasi) iniziata con la deliberazione dello “stato di emergenza”, votata nel silenzio generale il 31 gennaio scorso dal Governo, è coerente con l’ordinamento internazionale che fa capo all’Onu, relativamente agli stati di emergenza da pandemia o da epidemia diffusa dichiarati dall’Oms. Cosa avvenuta l’11 marzo scorso per voce del Direttore Generale, anche se i numeri dei deceduti e dei contagiati totali nel mondo non giustificava (nemmeno adesso!) quella decisione.
Ma tant’è e l’Italia (unico paese dell’Ue a farlo) si è predisposta a tale ipotesi giuridica, sottoponendosi pertanto alla volontà e alla guida della massima autorità sanitaria globale, accogliendo pertanto sin dall’inizio ogni direttiva e prescrizione emanata dagli esponenti del Board Oms. Come siamo stati abituati a comprendere nei mesi scorsi anche tramite le numerose trasmissioni televisivi di audience nazionale.
Le “fasi” istituite dal Governo, difatti, sono quelle sancite dai protocolli operativi Oms, sottoscritti da tutte le nazioni aderenti, e impongono scelte pre-definite da quegli accordi universali, che possono arrivare persino alla militarizzazione del paese e alla distribuzione dei beni alimentari e di prima necessità mediante “check-point” militari gestiti da forze militari nazionali o incaricate dall’Onu.
Ecco spiegato l’utilizzo improprio del coprifuoco, che è una misura di tipo militare in uso durante i conflitti armati, rientrante quindi nello jus in bello. Quanto ai colori, quello provengono dall’esperienza ormai consolidata degli stati di allerta dichiarati dalla Protezione Civile di fronte a rischi climatici o geologici. D’altronde stiamo parlando di provvedimenti che vengono legittimati dalla legge nazionale che disciplina l’organizzazione di quel servizio nazionale.
Capirete, quindi, che il Governo italiano stia mettendo in atto una prassi giuridica del tutto nuova e inconsueta, sebbene stabilita da patti internazionali e leggi interne, che però, spesso e volentieri, ha travalicato o aggirato le norme costituzionali. E questo diventa un vulnus inaccettabile, per di più se reiterato in breve tempo e con imbarazzante leggerezza.
Infatti, la polemica scatenata dalla regioni in merito all’ultimo dpcm, che ha visto addirittura l’intervento ufficiale del Capo dello Stato per convincere le autonomie locali ad accettare le decisioni imposte dall’esecutivo e contrarie alla lettera costituzionale, non è roba di poco conto.
È stata violata la prerogativa delle regioni a gestire la sanità e le misure di limitazione agli spostamenti interni, ai trasporti locali o al commercio, arrogandosi tale potere a livello centrale e disponendo invece un quadro disomogeneo che le stesse regioni hanno contestato, quando chiedevano invece misure uguali per tutti ed eventualmente graduabili da ciascun ente territoriale.
Idem per quanto concerne il provvedimento di lockdown, che le regioni più colpite dal virus o che subiscono il maggior danno economico sistemico hanno chiesto a viva voce, invece accantonato per preferire questa configurazione multiforme di difficile applicazione e comunque confusa.
Questo nuovo atto amministrativo che sovverte l’ordinamento giuridico stabilito, segue quelli ampiamente criticati, persino dalle maggiori cariche istituzionali e giudiziarie italiane e comunitarie, emanati nei mesi scorsi e tuttora vigenti, che si vanno a sovrapporre e intersecare col nuovo dpcm. Col quale, peraltro, si affida a un singolo ministro la decisione sull’intero paese e senza definire in modo trasparente quali siano i termini reali di valutazione su cui si baseranno le sue scelte. Che a questo punto non sembrano esserlo nemmeno più, divenute azioni obbligate da altre norme, magari di grado internazionale, che soverchiano i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana e la volontà del popolo sovrano.
Ci si è infilati, quindi, nel più classico dei meccanismi automatici e iper-burocratizzati. Un iter che destituisce tutti gli organi di governo e politici costituiti, per porre le decisioni nelle mani di pochi, qualcuno, magari uno solo, magari insediato al di fuori dei confini nazionali.
Siamo entrati quindi in un incubo senza fine, colorato, variegato, indefinito, ma dagli esiti scontati: la distruzione di buona parte dell’economia nazionale, di molti servizi pubblici, in modo particolare quelli gestiti dagli enti territoriali, e della ricchezza privata degli italiani. Capiremo solo nei tempi a venire se si sia trattato solo di un brutto sogno o di una tristissima realtà