Mezza Estate è trascorsa. Luglio è vicino. E non lontana la canicola ormai. Che, anzi, è già arrivata, anche se ancora non è alta, all’orizzonte, la Costellazione del Cane. Ma è l’aria africana questa. Anticiclone africano lo chiamano i meteorologi. Porta la sabbia del Sahara. I cieli sono giallo paglierino. E i tramonti di un rosso venato di arancio.
Dopo il Solstizio, dopo San Giovanni, la Natura comincia a morire. Anche se, per lo più, non lo notiamo. Perché è uno strano morire. Un processo di cottura. Il sole, scendendo dapprima lentamente, poi sempre più precipite verso l’equinizio autunnale, arde la vegetazione. Le cuoce lentamente, come in un processo alchemico. Che produrrà le ceneri d’autunno…
E si diffonde un’atmosfera dolce e amara insieme. Dolcigna afa di morte, la chiama D’annunzio. E lo so, ne ho già parlato. Ma l’Alcyone è un vero breviario della magia alchemica dell’estate. Impossibile non richiamarlo. Anche perché mi piace. Molto.
Comunque cambia il calore. Diversa è la luce. E le notti si fanno soffocanti. I sogni di Mezza Estate erano in serate fresche. Fresche nella sera… ancora lui. Ancora D’annunzio. La sera fiesolana…
Ora, con la calura, subentrano altri sogni. Meno tersi. Non più Puck con il suo magico collirio. Oberon e Titania e gli amori leggeri di uomini e fate…
Altri sogni. Gotici. Se vogliamo l’altro volto dell’età Elisabettiana. E di Shakespeare. Il Sogno e il Macbeth.
Lo scirocco, che soffia più forte nella notte, che trancia feroce il respiro, porta incubi. E angoscia. Che non è la semplice paura, determinata da una qualche minaccia. Vera o presunta che sia. È altro. Una voragine oscura che ti si apre, all’improvviso sotto ai piedi. E tu precipiti. In un vuoto senza fine. Sarebbe meglio schiantarsi. L’agonia avrebbe termine. E ti desteresti. Madido di sudore. Faticando a respirare. Ma torneresti alla realtà. Invece…
Continui a precipitare. Senza appigli. Senza voce per chiedere aiuto…
Il luogo dell’incubo di Mezza Estate, che subentra al sogno, non è un bosco ombroso e fresco, dove i raggi della Luna illuminano radure verdeggianti e in piena fioritura.
È, piuttosto, un deserto. O meglio un agglomerato di edifici uniformi e strade anonime. Vuote di vita, pervase da una luce abbagliante. Ma non limpida. Vitrea. Venata di riflessi giallognoli.
Strade vuote, ove soffia un vento sabbioso, che ti scortica la pelle come carta vetrata. E ti rende arida e amara la bocca, priva di saliva.
È uno strano incubo. Ove si aggirano poche figure. Che sembrano, più che camminare, strisciare lungo i muri. Cercando di confondersi con gli intonaci erosi e sbrecciati.
Lemuri, non esseri umani. Con gli occhi grandi e vitrei. Privi di espressione. Terrorizzati. Che fissano un vuoto di cui sono a malapena coscienti.
Non hanno bocca, questi lemuri. E quasi non respirano. Sono solitari. Al massimo a coppie. E si crogiolano come lucertole a questa luce malata.
Solitari, che però si ammassano in luoghi cupi. Che odorano di disinfettante e formaldeide. Sorta di obitori. Dove, però, accorrono volontari, come un gregge spinto dai cani ululanti.
I cani non si vedono. Non compaiono, in questo mio incubo.. Ma ne sento i latrati. Continui, ossessivi. Vengono da ogni luogo. Radio, televisioni telefoni. Latrano. E i lemuri si trascinano in quegli antri. Per uscirne dopo ore. Lo sguardo ancor più vitreo. Molti febbricitanti. Ma, all’apparenza, felici… Oddio, come può essere felice un lemure. O uno zombie.
Se incrociano per caso un uomo, un uomo ancora vivo, ne hanno palese terrore. E inveiscono, spesso, contro di lui perché ha espressione. Perché osa respirare.
La scena dell’incubo è fluttuante. Instabile. Muta veloce, come sempre accade nella sfera onirica… Ora è notte. Un’oscurità pervasa di rossa sabbia. Cupa. Che si deposita sulle auto come sangue rappreso e disseccato. Nella notte non compaiono più i lemuri. Si sono serrati nelle loro tane. Le hanno sprangate. Temono… già, cosa temono? Di morire? Ma i lemuri non sono viventi. Solo misere parvenze. Sopravvivono, sussistono, allignano. Non vivono. Intuisco (non vedo) le loro notti febbricitanti. Persi in un dormiveglia che non concede riposo.. In un ottundimento non molto dissimile a quello diurno…
Nel deserto urbano, odo una voce umana. Remota. Parla piano. Teme di essere scoperta. Potrai camminare per miglia, senza più incontrare un essere umano… Il versetto dei Veda mi sorge nella mente. Risuona cupo. Profondo. Come se fosse la voce di uno dei Rishi. Da lontananze siderali. E…
E mi sveglio. È ancora buio pesto. Ma avverto, come sulla pelle, che presto sorgerà il Sole. Quello vero…
Ma che vuoi dire? Mi chiederà, forse, qualcuno. Che stai cercando di insinuare?
Niente, tranquillo. È solo un incubo di Mezza Estate. Nulla di più. Non dovevo mangiare la peperonata fredda ieri sera…