Erano un gruppo di distinti signori. Tutti professori. E professori ad Oxford per di più … molti, ovviamente, fumavano la pipa. Ed erano usi ritrovarsi, periodicamente, nella stanza di uno di loro. E, in genere il giovedì, a pranzo al pub “The Eagle & the Childe”. Si chiamavano, tra loro, gli Inklings. Non si sa chi avesse tirato fuori questo nime, che a noi sembra avere risonanze misteriose…. Ma che, in realtà, significa più o meno: quelli che pasticciano con l’inchiostro. E quei distinti professori con l’inchiostro ci pasticciavano davvero parecchio. E poi, durante gli incontri, si leggevano vicendevolmente, quanto scritto. Si confrontavano e discutevano. Non dimenticando mai, però, di mangiare, ridere, bere e scherzare.
Uno di loro, il più famoso, che teneva il diario degli incontri, si chiamava J. R. R. Tolkien. Il padrone di casa, della stanza in Magdalen Street, C. S. Lewis. Il primo ha scritto “Il Signore degli Anelli”. Il secondo “Le cronache di Narnia”. Capolavori tanto celebrati da mettere in ombra il resto della loro produzione. Che non è poca cosa, anzi, per Lewis soprattutto, è moltissimo di più. E da far dimenticare che, in quegli incontri, vi erano anche altri. C. Williams, che è scrittore grande anche lui, e basta leggere “La notte di Ognissanti” per capirlo. John Wein, poeta e romanziere. Warnee Lewis, il fratello di C. S., storico, autore di un importante studio sull’epoca di Luigi XIV. Owen Barfield, il filosofo del circolo, che influenzò, con le sue concezione ispirate a Rudolf Steiner, le opere dei suoi ben più famosi sodali. E potremmo continuare..
Erano un circolo molto appartato. Estraneo ai rumorosi dibattiti culturali del tempo, i vivaci e confusi anni ’30/’40. Privi di spocchia intellettualistica, benché fossero tutti uomini di straordinaria cultura, profondi conoscitori di letterature e lingue antiche… Esenti, anche, da quell’esibizionismo egotico, da quel narcisismo che è proprio dei moderni artisti e intellettuali. Avevano, in fondo, uno stile antico. Si sarebbero trovati bene nello Scriptorium di una Abbazia benedettina del medioevo. Tipo quella descritta da Eco ne “Il nome della Rosa”.
Inventarono un’altra letteratura. Altra rispetto alle correnti sperimentali e moderniste del tempo. Cui non appartenevano, per una sostanziale estraneità spirituale, più che per scelta estetica e intellettuale.
Avevano una visione dell’arte come Mito. Immagini possenti che emergevano dalle profondità dell’anima di un popolo. Da una storia interiore. I loro riferimenti erano nelle saghe anglosassoni, nella Allegoria medioevale. Beowulf e Dante. Sentiti, però, non come astratto oggetto di studio. Vivi, contemporanei.
Erano fuori dal mondo, si potrebbe dire. E in un certo senso sarebbe vero. Ma solo in un certo senso. Perché avevano la capacità, chi più chi meno, e soprattutto la volontà di distaccarsi da questo mondo. Di guardare a ciò che accadeva senza esserne totalmente coinvolti. Con un distacco che permetteva, a tratti visioni più profonde. Profetiche.
La critica si è spesso interrogata su Sauron, sulla grande battaglia de “Il ritorno del Re”. Hanno cercato di vedervi Hitler, la seconda guerra mondiale, Stalin e la minaccia della guerra fredda. Tolkien non ha, ch’io sappia, mai chiarito né commentato.
E non avrebbe avuto senso. Il Signore degli anelli non è una facile e scoperta metafora di una qualche realtà contemporanea. Non è “La fattoria degli animali” di Orwell. È un mithos cosmico. La visione delle grandi potenze che agiscono dentro e oltre quella che noi chiamiamo storia. È una profezia. Come l’apocalisse di San Giovanni. Come il Ragnarock nell’Edda. E, come tutte le visioni profetiche, è perennemente reale. E presente. Non parla di qualcosa di definito e delimitato. Ma ci rivela la realtà in cui viviamo. Quella autentica, dietro la mera parvenza.
E così vale per “Quell’orribile forza” di Lewis. Poco letto. L’ultimo volume della saga del professor Ramsom. Un racconto fantastico che, a poco a poco, diventa indagine profonda sulle Forze che si contendono l’anima e il futuro degli uomini. Leggetelo. Sono passati molti decenni, ma descrive con esatta precisione ciò che sta avvenendo.
Quei vecchi professori con le loro toghe… Che conversano con aria vaga, tirando boccate dalla pipa. Affettando un prosciutto al forno. Bevendo una birra…. Dovevano sembrare una strana congrega di sognatori a chi li vedeva da fuori. A chi, soprattutto, non fosse in grado di vedere come quel loro “fantasticare” volasse oltre le barriere del tempo. E riuscissero a vedere molto, davvero molto oltre. Lasciando, nei loro libri fantastici, anche degli strumenti, potremmo dire delle armi, che sapevano sarebbero servite. In un giorno lontano. Un giorno come il nostro, forse.