La locuzione “Internet delle cose”, altrimenti detta “Internet degli oggetti” o, in lingua madre, “Internet of things” (IoT) definisce un insieme di tecnologie che mirano a trasformare qualunque tipo di oggetto, anche senza una vocazione digitale, in un dispositivo in grado di godere di tutte le caratteristiche di ciò che è nato per utilizzare la rete
Già oggi sono piuttosto numerosi gli oggetti di uso comune che, senza che ce ne rendiamo conto, possiedono queste caratteristiche. Si tratta, per esempio, dei braccialetti o degli orologi che si collegano direttamente agli smartphone lanciati come gadget da diverse aziende informatiche.
Ma le stesse aziende stanno investendo sempre di più in questa direzione, tanto che si prevede che entro il 2020 saranno attivi nel mondo almeno 50 miliardi di sensori attivi sui dispositivi più diversi, come i robot domestici e le auto autonome. Si calcola che ognuno di questi potrà produrre un’enorme quantità di dati ogni giorno.
Ma perché tutto questo si realizzi serviranno componenti completamente nuovi rispetto agli attuali chip, come quelli descritti sulla rivista Advanced Functional Materials e messi a punto nell’università finlandese Alvar Aalto.
Sono le componenti di base dei cosiddetti computer neuromorfici, che lavorano in modo simile al cervello
“L’obiettivo – osserva Majumdar, l’autore dell’articolo – è riprodurre l’alta energia ed efficienza del cervello e imitare il modo in cui i neuroni elaborano le informazioni attraverso gli impulsi elettrici“.
Il componente messo a punto è un memristore, ossia un dispositivo la cui memoria funziona in modo simile al cervello, basato su un sottilissimo strato di materiale ferroelettrico racchiuso tra due elettrodi.
I nuovi chip riescono a funzionare con poca energia e a conservare i dati per oltre 10 anni. Inoltre sono meno inquinanti perché sostituiscono il piombo con l’idrocarbonio e più facili da produrre perché non richiedono temperature elevate. Consentono anche di superare alcuni problemi degli attuali transistor presenti nei chip dei computer.
Per l’internet delle cose servono infatti transistor miniaturizzati, delle dimensioni di pochi milionesimi di millimetro, che la tecnologia tradizionale non riesce a ottenere.
Il prossimo obiettivo dei ricercatori è quindi mettere insieme milioni di memristori in una rete delle dimensioni di un centimetro quadrato
Sembra però esserci un certo timore su come verrà gestita la privacy sugli indossabili, con la paura che sia i dati conservati sul dispositivo che quelli raccolti con l’esperienza quotidiana possano essere facilmente trasmessi all’esterno.