Si è svolto a Cella Monte (AL) dal 2 al 5 settembre il Jazz:Re:Found festival. Per un racconto dell’evento, vissuto in prima persona da chi scrive, leggete questo articolo.

Ci racconta del festival il suo direttore artistico Denis Longhi.
Sono noti i motivi dello spostamento da Vercelli a Torino, come già spiegato in una intervista del 2016 – complice l’impossibilità della pubblica amministrazione di tenere il passo, e soprattutto dato uno sviluppo che anagraficamente e professionalmente era arrivato al termine la scelta era ricaduta su Torino e Milano (verosimilmente più capaci di gestire eventi di questa portata). Parliamo invece della scelta di spostarsi in campagna.
Perché il Jazz:Re:Found se ne è andato da Torino?
L’uscita da Torino si è verificata per varie ragioni, fondamentalmente si stava chiudendo fisiologicamente un nuovo ciclo sotto la Mole, inoltre diverse operazioni al confine del “mobbing” hanno favorito la decisione di lasciare la terra sabauda. Quando siamo arrivati da Vercelli a Torino molti ci hanno interpretato come una nave pirata di cui non curarsi. Invece in 3, 4 anni il brand di Jazz:Re:Found, che già era importante, si è affermato e ha iniziato a dare fastidio.
La precedente organizzazione indoor invernale, per quanto ci abbia agevolato togliendoci ad esempio il rischio pioggia, non era nel D.N.A. del festival. Non rinneghiamo i 4 anni a Torino, questi, infatti, ci hanno aiutato a fare branding, a consolidare l’economia del festival, ma non lo sentivamo il punto di arrivo.
Abbiamo così deciso di ritornare open air e abbiamo immaginato di andare a Moleto (N.d.R. un piccolo borgo tra le colline del Monferrato che alla fine non è stato scelto come località per il Jazz:Re:Found) dicendo: per un anno proviamo a ripartire dal basso e però cercare di fare in questo luogo una cosa di grande qualità, facendo un sacrificio economico e rimanendo su numeri molto ridotti
Per un anno proviamo a ripartire dal basso e però cercare di fare in questo luogo una cosa di grande qualità.
La scelta alla fine non è ricaduta su Moleto, ma su Cella Monte. Perché?
Spostarci a Moleto avrebbe significato ridurre ancora di più i numeri del festival. Se ora il Jazz:Re:Found di Cella Monte è un evento boutique – diciamo ultra-boutique, spostarlo a Moleto avrebbe significato avere una capienza massima di 1000 persone. Ma è da questo borghettino che la storia ha inizio.
A Moleto, un paese che si trova vicino a Cella Monte, tutte le estati al mio compleanno – il 12 Luglio – facciamo una festicciola. Negli anni la festa si è trasformata nell’evento post-produzione di Jazz:Re:Found, un premio produzione per chi ha lavorato con noi. Nel tempo il compleanno è diventato un evento da 200, 300, 500, 1000 poi 1500 persone, un compleanno enorme e allargato, un appuntamento fisso. Abbiamo così fidelizzato il paese di Moleto, che se Cella Monte è piccolo, è un decimo di questo – un borghettino.
C’è a Moleto un caro amico, un signore francese sulla sessantina, un po’ pazzo e visionario, una persona veramente geniale insomma, con cui si è costruito un rapporto. E’ nato così il sogno di spostare il Jazz:Re:Found festival da Torino a Moleto, o comunque di riuscire a fare qualcosa per quel posto che avevamo molto a cuore.
Nel 2019 abbiamo confermato lo spostamento da Torino a Moleto, i primi booking (quelli per gli eventi di Gilles Peterson e David Rodigan) erano stati firmati e contrattualizzati là. Mentre iniziavamo la costruzione dell’evento sono subentrati dei fattori sfavorevoli che hanno modificato la nostra visione della main area del festival. Lo scenario si è così spaccato.
Avevamo progettato una operazione di rebirthing, di riduzione dello stress. Complice la capienza ridotta, eravamo pronti anche al sacrificio economico, consapevoli che l’intento finale sarebbe stato quello di qualificare un luogo che ci sta molto a cuore, un luogo che crediamo ricco di potenziale.
Avendo già fatto un investimento, ci siamo ritrovati a confronto con una realtà locale business oriented, che a noi non interessava. A causa di questo fatto a fine Marzo, a due mesi dal festival, ci siamo ritrovati nell’incertezza più totale.
Come avete superato questo momento difficile?
A Pasqua del 2019 siamo venuti a Cella Monte al Bar 365 e qui abbiamo chiesto se ci fossero prati nelle vicinanze in cui poterci trasferire. E’ nata così l’dea di farlo qua, nel borgo cellese. Dapprima ero un po’ stranito. Senza spirito di indagine, a portoni chiusi, senza sapere dell’esistenza dei cortili interni, Cella Monte non sembrava avere molto da offrire.
Ad esempio l’area main del festival, quando non c’è il palco e non c’è il prato, è solo un brullo sterrato. Alla stessa maniera la collinetta di San Quirico, non allestita, è una collinetta con una chiesa e nulla più. C’è lo dovevi un po’ vedere il festival.
Decisivo è stato l’incontro con il nuovo presidente della Proloco. Io mi ero immaginato il classico vecchio ottantenne. Invece è spuntato fuor un ragazzo di 25 anni circa, sveglio, che proviene da una famiglia di agricoltori di terza generazione e che mi ha portato a vedere un po’ di spazi.
Sono tornato a casa suggestionato. Mi sembrava un po’ una follia a due mesi e mezzo immaginare di produrre un festival in un luogo che non conoscevo, di cui non avevo una percezione dinamica. Mi sono interrogato più volte sulla validità dell’operazione e alla fine mi sono convinto. Veniva ora la parte più difficile: convincere una intera comunità di 200 persone ad ospitare un festival di 2000 persone.
Come avete fatto a convincere l’intera comunità cellina ad ospitarvi?
È stata una sfida. Parlare con un sindaco e dire: tra due mesi e mezzo arriveranno 2000 persone per un festival non poteva essere una cosa facile. Inaspettatamente, invece, il sindaco è rimasto colpito da ciò che gli abbiamo presentato e ha chiesto consiglio al mio amico francese sulla nostra affidabilità. Nonostante la delusione per il fatto che non avremmo fatto il festival da lui, il nostro amico di Moleto si è speso in nostro favore. Il sindaco di Cella Monte quindi si è preso la responsabilità di scommettere su una cosa che poteva costituire un rischio enorme. Questa è dopotutto una comunità anziana.
Incredibilmente, iniziando a frequentare un pochino Cella Monte, soprattutto il bar il Carpino (punto di ritrovo del paese) e facendoci vedere molto, abbiamo guadagnato consenso. Tutti hanno iniziato a capire che portavamo un progetto serio, che non era il fake, camuffato in festone, di un rave party.
È stato nella Chiesa Parrocchiale di Cella Monte che abbiamo presentato il nostro progetto. Abbiamo montato il proiettore, fatto vedere le slide, i budget degli anni precedenti, i proposer che mandiamo alle fondazioni e agli sponsor, guadagnando così la loro fiducia.
C’era comunque una tensione abbastanza evidente lato loro e lato nostro. Il timore che, montato tutto, fatto tutto per bene, scelte le persone giuste, l’arrivo anche solo di 500 persone, in un posto che non è abituato a questo tipo di recettività (la fiera locale del tartufo alla Proloco fa numeri inferiori) potesse destabilizzarne l’equilibrio era grande.
Posso dire ora che il cammino è stato solidale: nella sfida e nell’investimento, per noi, nell’accettarci e nel prendersi il rischio di salire sulla barca, per loro.
La dimensione familiare del borgo dona al Jazz:Re:Found, gli conferisce dei confini, o piuttosto una forma così raccolta che può stare nel palmo di una mano. E parlando di ambiente familiare mi viene in mente, ad esempio, la cantina Cinque Quinti e la macelleria Coppo. La collaborazione con i locali appare ricca di esternalità positive per tutte le parti in gioco.
Qual è il rapporto tra il festival e i Cellesi?
Iniziamo col dire che il comune di Cella Monte in tutto fa 400 abitanti e comprende anche Coppi, la frazione sottostante. Nel paese alto vivono 220 persone e credo che, appunto, la metà circa saranno over 75. Quindi i vecchietti che si sono visti in giro per il festival, quelli che hanno partecipato, sono quelli più legati alla dinamica del paese e che di solito partecipano alla vita sociale. Loro, al festival, c’erano tutti.
Il rapporto che si è creato con i Cellini è di collaborazione reciproca. Lato loro hanno colto una positiva impennata dei guadagni nei quattro gironi. Questo è il lato degli esercenti, nessuno si oppone ad un indotto economico.
C’è poi tutto un pezzo di comunità che però poteva tecnicamente essere danneggiata, sotto il profilo della privacy e della tranquillità, dall’inquinamento delle persone. Abbiamo superato questo timore ad esempio attraverso l’attenta scelta del personale, tutti giovani educati e molto disponibili.
C’è da dire poi che ai Cellesi sta molto a cuore l’arredo urbano e l’ordine pubblico. Per loro il Jazz:Re:Found festival sarebbe potuto essere l’evento più bello del mondo, capace di procurare entrate a non finire, ma il pacchetto di sigarette o il bicchiere di birra abbandonato sull’uscio avrebbero fatto passare tutti questi lati positivi in secondo piano. Bisognava curare fino al più piccolo dettaglio per superare la sfida.
Quali soluzioni avete adottato?
Abbiamo avviato una collaborazione con dei ragazzi di origine togolese che hanno lo status di rifugiati politici. Da Vercelli, Alessandro Iacassi (responsabile della logistica) ha coordinato il lavoro e lì ha coinvolti nel progetto. È stato bello immaginare che la mattina alle 5 e mezza, appena fa luce, ma prima che esca fuori la vecchietta alle 7, il paese fosse già stato ripulito. Questa operazione è stata fondamentale, ha cambiato totalmente la logica della percezione nel paese, facendo sposare ai Cellesi in toto il festival.
Uno degli effetti del Jazz:Re:Found è illuminare cose nascoste attraverso il turismo musicale.
Valorizzare e richiamare l’attenzione sulle bellezze del Monferrato è una delle vostre finalità?
Certo, la valorizzazione UNESCO del luogo è il sottosopra del progetto. È un racconto che ancora non siamo riusciti a fare. Nel 2019 la copertina dell’edizione del Jazz:Re:Found era disegnata con il sotto e il sopra, gli Infernot e le vigne, e il giorno e la notte.

Quello era il tema della valorizzazione che abbiamo in progetto di portare avanti con la campagna di comunicazione, coinvolgendo anche tutti gli altri comuni. È un progetto scalabile all’infinito: potremmo portare Anderson Paak a suonare in un prato, magari tra 10 anni. Lo spazio non manca.
Potremmo portare Anderson Paak a suonare in un prato, magari tra 10 anni. Lo spazio non manca.
Sul punto abbiamo affrontato una discussione coinvolgendo tutto il territorio (N.d.R. sull’argomento si è tenuto alla cantina Cinque Quinti il JZ:RF TALKS / ARCIPELAGO?). In una dinamica collettiva – pro futuro – monopolizzare il borgo di Cella Monte potrebbe diventare sconveniente. Fondamentale e conveniente sarà preferire una programmazione in più paesi. Tenere in ognuno una numerica sostenibile è uno dei punti fermi del progetto.
In tutto questo c’è un orientamento politico di cui tenere conto. Tutti i comuni, anche di Casale Monferrato, che chiaramente funge da hub, e ancora le fondazioni, ma soprattutto la Regione, hanno intercettato il festival come il volano di marketing territoriale ideale, alla stessa maniera di Collisioni Festival. Il brand di Jazz:Re:Found e il marketing che ha attorno, producono un effetto positivo che va a investire B&B, Spa, aziende vitivinicole e tutte le eccellenze del territorio. Il Jazz:Re:Found festival è una risorsa preziosa, che a prescindere da tutto deve essere protetta e tenuta qua.
Rispetto all’edizione del 2019 c’è stato un re:found obbligatorio. Mi riferisco in particolare alla riprogrammazione del festival in Settembre.
Come ha influito la normativa covid sull’organizzazione del festival?
Era rischioso programmare il festival con delle potenziali zone gialle che resistevano. A fine Giugno la campagna vaccinale era al 30%, ancora in alto mare. Caduto il coprifuoco e progredita la campagna vaccinale, speravamo che con il tempo la situazione sarebbe stata migliore. Ci siamo illusi che per Settembre sarebbe caduto il divieto dello stare in piedi, ingenuamente l’avevamo dato per scontato.
Il 24 Luglio, quindi, è stato un dramma totale per noi. Il nuovo decreto che introduceva il green pass per il 5 agosto, aveva confermato le limitazioni numeriche, l’obbligo di stare seduti e il distanziamento.
Appena letta la notizia ho pensato di annullare il festival, nonostante avessimo già venduto i biglietti e pagato gli anticipi. Tutti mi dicevano di rifletterci, di prendermi almeno la notte. Mi sono dato fino all’inizio di Agosto e da quel momento abbiamo provato ad elaborare un piano alternativo alle sedie numerate e fissate a terra di fronte al palco, un piano fatto di prato e cuscini.

Lo sforzo intellettuale e creativo per dare una soluzione un po’ più confort di una scomoda sedia è stato apprezzato. La strategia risultava rischiosa perché la funzionalità era in parte demandata al senso civico dei partecipanti, senso civico che ha prevalso in pieno negli spettacoli di Valerio Lundini o Joan Thiele.
Quindi questa è stata la strategia creativa per poter essere adempiente ad un protocollo che abbiamo capito, senza presunzione, anacronistico. Diciamo sì all’apertura delle palestre, all’apertura degli stadi, ma le restrizioni per gli eventi culturali, seppur all’aperto, con uso di dispositivi e mantenendo le distanze di sicurezza, non vengono ancora fatte cadere. I nostri colleghi, in Inghilterra e in Belgio, i festival lì stanno facendo come fossero in regime ordinario, con 30 mila persone, e al momento non si è verificato alcun ritorno nei contagi.
Casanoego ha dimostrato che fare musica vecchia maniera, in questa fase, è nuovamente possibile. Il sold out è stata una grande soddisfazione. Il Jazz:Re:Found festival è stato salutare non solo per gli utenti, ma anche per gli artisti che – dopo tempo – hanno suonato per un pubblico caldissimo e vicino. Immagino che anche per gli organizzatori questi quattro giorni siano stati un bentornato alla vita, anche se nel periodo 2020-2021 non siete certo stati fermi.
Quali sono stati i progetti che vi hanno tenuto impegnati in questi ultimi due anni?
A parte i tre mesi di Aprile Maggio e Giugno 2020, in cui siamo stati obbligatoriamente fermi, tra Luglio e Agosto ci sono state delle grandi produzioni in collaborazione ad esempio con il Ministero e con Ford, nostro partner. Abbiamo prima prodotto Palce to be, un progetto di IMF – Italian Music Festivals – promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale nel palinsesto di Estate all’italiana Festival, nel quadro delle misure a sostegno delle imprese culturali e creative italiane e mirate alla costruzione di una nuova narrazione internazionale dell’Italia nel mondo post-COVID).
PLACE TO BE è un format esclusivo, in cui si fondono narrazione del paesaggio e creatività, valorizzazione territoriale e performing arts. Una serie di produzioni originali, metteranno in vetrina luoghi speciali e inconsueti ospitando alcuni tra i migliori artisti italiani dell’immaginario musicale contemporaneo e d’avanguardia.
Il progetto prevedeva la realizzazione di tre episodi, di cui uno girato qua nel Monferrato. Nell’episodio monferrino i Nu Genea hanno suonato tra le vigne di Cella Monte.
Le altre due puntate hanno avuto come protagonisti i Calibro 35, che hanno suonato in Puglia, agli Scavi archeologici di Egnazia, e Clap! Clap! e Kety Fusco che si sono esibiti nel borgo medievale di Civita Bagnoregio. Sono state tre produzioni impegnative.
Poi a Settembre e Ottobre abbiamo collaborato con Ford, sponsor del Jazz:Re:Found già nel 2019. Dopo che il festival è saltato causa covid, Ford ha deciso di conservare comunque il budget per il 2020 e, visto il progetto con il IMF, ha deciso impegnarsi con noi e produrre tre puntate per pubblicizzare uno dei suoi veicoli commerciali.
Lo scopo del progetto consiste nell’esaltare le bellezze naturalistiche, storiche e monumentali del nostro territorio, che si ibridano nella creatività artistica dei nostri più importanti e interessanti musicisti e producer a livello nazionale.
Dal comunicato stampa
Da qui sono nati i tre episodi: il primo girato ad Alassio (Pontile Bestoso), il secondo girato a Orta San Giulio e l’ultimo a Forte di Fenestrelle. Gli artisti coinvolti sono stati: Venerus, Ze in the Clouds e Khalab.
A Novembre Dicembre e Gennaio ci siamo concentrati su un progetto podcast con Raffaele Costantino: Music & The Cities. Un racconto podcast delle music culture delle grandi città: Roma, Milano, Torino, Palermo, Napoli, Lecce, Bologna e altre, con la partecipazione di ambassadors intervenuti per descrivere il ritmo delle loro città. Per Torino, ad esempio, abbiamo avuto come ospiti: Max Casacci (Subsonica), Marta Barone e Ricciardone.
Da Gennaio 2021 siamo partiti con l’etichetta Time Is the Enemy, con il quale abbiamo prodotto il disco di Ze in the Clouds. Tra Febbraio Marzo è iniziata la produzione del festival, chiaramente a basso regime fino a Maggio. Poi da Giugno c’è stata la conferma definitiva che il festival si sarebbe fatto e abbiamo cominciato il lavoro a tempo pieno. Lato nostro non c’è stato mai uno stand by.
Delle anticipazioni per l’anno prossimo: dove si terrà il Jazz:Re:Found festival? In quale periodo?
Il festival è qua a Cella Monte, e sarà qua fino al 2030 o chissà. Rimane solo da capire quale stagionalità usare. Questo 2021 il festival era stato programmato a fine Giungo, come era a Vercelli e come è stato nel 2019. La soluzione in Settembre è stata imposta dalla situazione covid-19. Alla fine, siamo stati terribilmente fortunati e mi sento di dire che è questa la stagionalità giusta per fare questo festival.
Unico problema, qua a Cella Monte fanno la vendemmia, e quest’anno un pochino ce l’hanno scontata. Noi eravamo obbligati a queste date, ma la comunità non era contentissimi perché sono tutti impegnati nella raccolta. Alla fine, però, è passato il messaggio che questa vicinanza poteva dare vita a un momento interessante. Si può idealmente dire che il festival lasci posto alla vendemmia: l’ultima notte prima della vendemmia. Si va a dormire la domenica e il lunedì comincia la raccolta.
Tornando alla stagionalità, quest’anno simo stati l’unico festival in Italia. Settembre è stato vincente perché siamo stati gli unici. Non so se l’anno prossimo, con tutti i festival in attività, arrivare in coda a tutti sarà la scelta vincente. La sensazione però è che tutte le persone che hanno partecipato quest’anno, se già a Dicembre o Gennaio ci sarà l’apertura della vendita dei biglietti, lo compreranno e si prenderanno un impegno.
Quale sarà il piano A?
Direi che il piano A è diventato Settembre e il piano B fine Giugno, tenendo ovviamente presente la disponibilità dei nomi importanti degli artisti che vorremo coinvolgere.