Io Saturnalia!
Sì, lo so bene Direttore. Un pezzo con un titolo simile l’ho scritto lo scorso anno. E, facilmente, anche l’anno prima. Ma non è l’Alzheimer. Piuttosto la colpa è…del tempo. Che è una ruota, o meglio una spirale che si avvolge sempre su se stessa. Per cui tutto ritorna. Eternamente. Anche se non in modo monotono e uguale, come credeva Nietzsche…
E poi lanciare questo grido il 17 Dicembre è sempre di buon augurio. E Saturno sa se abbiamo bisogno di auspici favorevoli, oggi… Per cui…
Io Saturnalia!
Sono cominciate, e si protrarranno sino al prossimo 22 dicembre. Per lasciare posto ai Larentialia, poi alla festa della misteriosa Angerona. E, infine, al Trionfo di Sol Invictus. Al Dies Natalis, il 25. Anche se queste date così rigide le stabilì Diocleziano. Prima, i giorni potevano variare. Soprattutto in età arcaica, con il Calendario di Numa. Comunque, sempre in questo periodo. Sempre nelle immediate vicinanze del Solstizio.
Che dire, però, su questi Giorni Fasti che non sia già stato detto e ripetuto? per altro anche da me… Le Feste di Saturno, per i Romani le più importanti dell’anno, visto che il Lazio era, per eccellenza, Saturnia Tellus. Il luogo ove Saturno, l’antico sovrano celeste, si era ritirato dopo aver dovuto cedere il regno a Giove. Portando con sè, però, le ultime vestigia dell’età dell’oro
Di cui ci parla Virgilio in un passo delle Georgiche. Uno dei più suggestivi. E rutilanti di immagini e colori. Provate a leggere di come le pecore mutassero spontaneamente il colore del loro vello. E come da candido diventasse ocra, porpora… Per sollevare gli uomini di quella età felice da ogni fatica. Anche quella della tintura. Provate a leggere. E, soprattutto, immaginare. Una scena che fa invidia a quelle del famoso “Fantasia” Disneyano…
Comunque, ogni anno, i Romani celebravano le Feste in onore di Saturno. In attesa del ritorno del suo regno. Che, sempre Virgilio, profetizza nella celeberrima, e discussa, Ecloga IV.
Perché questo rappresenta uno iato temporale. Un tempo sospeso. Se vogliamo, un tempo fuori dal tempo. Che è, ovviamente, un paradosso. Ma i paradossi sono, appunto, la chiave per spezzare le catene che ci legano alla rappresentazione ordinaria della realtà. Quella grigia, monotona, opprimente.. Il nostro continuum spazio-temporale. Che, appunto, gli strani usi – o meglio, quelli che, oggi, strani ci appaiono – dei Saturnalia romani tendevano a infrangere. Col procedimento, paradossale, del rovesciamento.
Rovesciamento dei ruoli sociali, ad esempio. In quei giorni il padrone si vestiva come uno schiavo, e serviva i suoi stessi schiavi, vestiti come padroni.
Allo stesso modo i rituali sfrenati, le danze, sovente lascive, i lussi, inusuali nel periodo più antico – ordinariamente sanzionati e proibiti dalle austere leggi suntuarie – avevano non lo scopo di sfogare pulsioni represse, come dicono improvvisati psicologi. Erano, piuttosto, un rito corale e individuale insieme. Un rito che invocava, o meglio evocava la rigenerazione dell’ordine cosmico. Che deve, necessariamente, passare attraverso una fase di caos. E, al contempo, induceva l’individuo a superare i suoi limiti ordinari. Limiti di pensiero, di percezione, di rappresentazione. Nelle notti dei Saturnalia agli uomini era data la possibilità di tornare a incontrare gli Dei. Perché gli Dei camminavano fra loro come nella, mitica, Età dell’Oro. E interagivano con gli uomini. La storia di Acca Larentia, amata da Ercole nell’ultima Notte festiva, la più sacra, sta a significare (anche) questo.
Ora, però, mi fermo. Forse parlerò ancora dei Saturnalia. Sino al 23 c’è tempo. Intanto devo cominciare a impastare la focaccia di farro con frutta secca e candita. Il vino, rigorosamente rosso, lo ho preparato. Se qualche Dea dovesse venire in visita…beh, meglio non essere impreparato….
Intanto
Io Saturnalia!