Per una volta, il comico figurante del nullismo intellettuale sinistro ha colpito il segno. A destra non c’è cultura da 300 anni.
Analizziamo il percorso del suo involontario ma centrato ragionamento, in una casuale coincidenza neuronale – un po’ come la cometa di Halley, insomma.
Gli inquadramenti di destra e di sinistra nascono qualche tempo prima della catastrofe rivoluzionaria francese, per definire seppure grossolanamente i conservatori e i rivoluzionari. Quindi, calcolando i tempi, dal 1789 ad oggi – precisamente 232 anni di distacco – gli ultimi intellettuali di destra risalirebbero al 1721. Definito storicamente il periodo del Terrore giacobino dal 5 settembre del 1793 al 28 luglio del 1794, è da ritenere che gli ultimi scarti di pensatori reazionari siano finiti con la testa nel cestino del boia. Poi il buio.
Dove ha ragione l’incauto Scanzi? Nel negare pensatori di destra nel Novecento.
E qui mi dispiace per le anime belle, per i timidi moderati dai costumi discreti e impacciati, per gli assaggiatori di cibi insipidi e di bevande insulse: la letteratura, la tecnica, l’arte, la poesia, l’architettura, il costume, la filosofia, la musica furono fasciste e nazionalsocialiste, non certo parte del destrume piccolo borghese.
Tanto è vero che nel terzo millennio il pensiero alto continua a fare i conti con Pirandello, con Marconi, con Gottfried Benn, con Le Corbusier, con Ferdinand Porsche, con Hugo Boss, con Heidegger, con Puccini: è questo il passato che non passa. E Scanzi, nel suo piccolo e malconcio inconscio lo ha percepito.
Quelli elencati sono pochi simboli delle centinaia di menti che aderirono al fascismo e al nazionalsocialismo, quindi Scanzi ha ragione.
Lui, col meccanismo psichico della negazione, non può accettare una simile realtà; lui preferisce restare incatenato nella caverna di Platone e veder sfilare in maniera allucinata le ombre di Dario Fo, di Fuksas, di Toni Negri, di Fedez, di Burioni, di Lady Gaga, pensando che corrispondano al reale.
Non invidio il povero Scanzi: in caso di autocoscienza, e non gliela auguro per evitargli un tracollo psichico irreparabile, l’esame di realtà lo accecherebbe, oppure sarebbe ucciso dagli altri suoi simili come l’illuminato della già citata caverna.
Per questo ed altri motivi mi è intollerabile anche il minimo attacco a Scanzi. Lui, l’uomo del risentimento, non è malvagio, e solo stato disegnato male – per parafrasare la conturbante Jessica Rabbit. Lui dev’essere preservato, accudito, protetto non come valore ma come esemplare della “morale degli schiavi che ha bisogno, per la sua nascita, sempre e in primo luogo di un mondo opposto ed esteriore, ha bisogno, per esprimerci in termini psicologici, di stimoli esterni per poter in genere agire – la sua azione è fondamentalmente una reazione” (F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1968, 10, p. 261).
È l’utile strumento per capire – con soddisfazione – che noi non siamo come lui.