C’è una vecchia canzone di Giorgio Gaber. “I padri miei, i padri tuoi”. Un raffronto, impietoso, tra le generazioni. Di quegli anni fine ’70, per altro… chissà cosa direbbe oggi…
Comunque, ad un certo punto, parlando dei “padri miei”, ovvero della generazione di suo padre, diceva (più o meno, vado a memoria): sognarono l’Africa Orientale Italiana…
Già, l’Africa Orientale Italiana… perché, anche se pochi ne hanno ancora memoria, l’Italia, la nostra Italietta, è pur stata una potenza coloniale. Ha partecipato al grande gioco africano, cercando di acquisire colonie. Come le vere, grandi potenze dell’epoca. Francia e Gran Bretagna in prima fila. Ma anche Belgio, Portogallo, Spagna, più marginalmente Germania.
L’Italia arrivò per ultima. A raccogliere le briciole. Eritrea, Somalia, poi la Libia strappata ai turchi… terre povere, almeno all’epoca, quasi inutili da sfruttare. E difficili da governare. Poi, la politica di Crispi. Dopo Cavour l’unico vero statista con una visione d’insieme della geopolitica mondiale. E uno dei tre, forse quattro che ha avuto il nostro paese in tutta la sua storia unitaria.
Andò come andò. L’Etiopia non era proprio un osso facile da rodere. E noi, tutto sommato, impreparati. Troppo recente, e fragile, il nostro Stato.
Però il lavoro di Crispi lo portò, poi, a compimento un “altro”. Che oggi non si può nominare, ma che fu uno dei tre o quattro cui facevo riferimento prima. Perché dire che un politico è stato uno Statista, non è tesserne l’apologia. Solo constatare un dato oggettivo…
Comunque l’Italia non poteva stare fuori dai “ludi africani”. Ne andava della sua possibilità di contare almeno qualcosa in Europa. E, quindi, della sua stessa sopravvivenza.
Il nostro colonialismo ebbe, come tutti, delle asprezze. E commise dei crimini. Ma non paragonabili a quelli di altri, che poi ci hanno fatto la morale. E che le terre d’Africa hanno sfruttato, e spesso continuano a sfruttare, sino a renderle completamente esangui.
Noi, forse perché da sfruttare laggiù c’era davvero ben poco, abbiamo utilizzato le colonie come valvola di sfogo per la nostra disoccupazione. Meglio andare in Etiopia, che era pur sempre Italia, che nelle lontane Americhe.
E abbiamo costruito. Molto. Andate ad Addis Abeba o all’Asmara. Vedrete città in tutto, o quasi, italiane.
Però qui mi fermo. Perché questo non è, e non vuole essere, un articolo di storia. E neppure uno sfogo nostalgico. Volevo solo ricordare – visto che, anche a scuola, ormai non lo fa quasi più nessuno – che il nostro paese con l’Africa ha legami storici. Ci piaccia o meno. E, quindi, dovrebbe (sottolineo il condizionale) avere una politica estera ben chiara nei confronti del Continente Nero. Anche perché, come soleva dire Giulio Andreotti, quelli sono i nostri vicini di casa. E i vicini di casa non te li può scegliere….
E, appunto, i Moro, gli Andreotti, i Craxi avevano una politica degli interessi italiani in Africa. E cercavano di attuarla in autonomia. Per quanta autonomia potessero conquistarsi dall’egemonia dei nostri, ingombranti, “amici”.
Anzi, c’è chi sostiene che la fine, drammatica, della loro stagione sia stata dovuta al fatto di… avere esagerato, diciamo così…
Certo, noi non abbiamo mai avuto una forza e un controllo neocoloniale forte. Non ne avevamo gli strumenti, tipo il CFA francese.
E qui, mi scuserete, ma devo fare una precisazione, visto alcuni appunti che mi sono giunti dopo un recente articolo.
È vero che, nel 2020, Macron ha annunciato la fine del CFA. Ma, intanto, questa dovrebbe realizzarsi in un’area limitata, l’Africa nord occidentale, mentre di quella centrale non se ne è mai fatti cenno. In seconda istanza, il CFA dovrebbe uscire di scena solo nel 2027. Ergo, è, almeno in parte, ancora in uso. Infine verrà sostituito dall’ECO, pur sempre controllato da Parigi. Che i presidenti di Mali, Burkina Faso, Niger definiscono solo un cambio di nome. Ovvero, se non è zuppa è pan bagnato… Questo per ricordare che non basta una vecchia nota ANSA per mettersi a sparare scemenze.
Comunque, tornando al tema, anche senza certi strumenti di pressione, tipo basi militari, noi una politica “africana” la si dovrebbe fare . È un nostro interesse vitale. E non solo per il problema dei “migranti”, che, comunque, dipende dalla stabilità sia del Maghreb sia dell’area sub-sahariana. Dall’Africa, che è un immenso serbatoio, arrivano gas, petrolio, materie prime essenziali per la nostra industria.
Ma dal declino di Berlusconi – l’ultimo a tentare almeno uno straccio di politica africana – noi siamo diventati totalmente inerti. Peggio, andiamo a rimorchio di altri. E, troppo spesso, contro i nostri interessi.
Il caso della Libia è lampante. Francesi e Americani ce l’hanno letteralmente soffiata. Con la complicità dell’allora Presidente Napolitano e dei ministri degli esteri e difesa… ricordate i nomi? E un Berlusconi reso inoffensivo dal “caso Ruby”. Scandalo venuto proprio a fagiolo…
Ma un po’ in tutto l’Africa va così. Dal governo Monti a quello Meloni siamo stati, e continuiamo ad essere, gli ascari di interessi altrui. Pagando un prezzo alto. E che, se non si cambia linea, diverrà altissimo nei prossimi anni.