Può esistere una democrazia senza demos? È vero che nella antica Atene il numero di coloro che avevano diritto al voto rappresentava una minoranza rispetto al numero complessivo di abitanti, ma la situazione sembrava leggermente cambiata rispetto alla Grecia di allora. E invece ci si ritrova, nelle sedicenti democrazie occidentali, a sperare di raggiungere le medesime percentuali di voto.
Gennaro Malgieri, su Destra.it, affronta il problema dell’astensionismo, provando ad analizzare le tante cause che hanno portato gli italiani a ridurre drasticamente la partecipazione al gioco elettorale. Dal 90% pre tangentopoli sino a poco più di un terzo degli elettori alle recenti regionali del Lazio.
I partiti, ogni volta, si interrogano sulle ragioni di questa disaffezione, ed ogni volta evitano di fornire risposte. Ma soprattutto evitano di provare ad invertire la tendenza. Forse perché non vogliono invertirla. Perché mai sottoporre le oligarchie di partito al giudizio popolare?
In fondo bastano i chierici della disinformazione a raccontare che i sistemi di governo nella sfera atlantista sono “democratici”. Senza demos, appunto, senza il popolo. Che, più che comprensibilmente, non crede alle menzogne di politici che non si occupano della Polis ma esclusivamente degli interessi propri e delle multinazionali di riferimento. Puri e semplici rappresentanti delle oligarchie che fingono di scontrarsi per meglio spartirsi le ricchezze generali.
Sparite le ideologie, considerate il male assoluto; sparite le sezioni di partito come luogo di aggregazione e discussione, poiché la discussione non è gradita; sparite le occasioni di incontro, perché pericolose per la possibilità di uno scambio di idee. Si è favorita la rissa inutile sui social. Si sono accantonati i grandi temi sociali per dedicarsi ai diritti individuali legati esclusivamente alla sfera più intima. Il vecchio slogan “il personale è politico” è stato interpretato in modo tale che il politico è stato abbandonato per occuparsi solo dei vizi privati, degli umori e degli amori.
Dalle masse alle monadi, dai popoli agli individui, dalle battaglie sociali agli egoismi di ciascuno. E tutti inseriti in una amorfa uniformità globale che rappresenta la premessa perfetta per procedere alla disumanizzazione ed alla creazione della società delle macchine. Gestita dell’intelligenza artificiale. Voteremo per la piattaforma di Microsoft o per quella di Google?
Come si può fingere di pretendere un voto quando, ad ogni livello, le decisioni vengono prese altrove? Le politiche estere italiane vengono stabilite a Washington. La politica economica a Bruxelles. Le scelte regionali dipendono da Roma. Le strategie comunali dagli interessi dei potentati locali.
Le burocrazie dei partiti evitano accuratamente di confrontarsi con i corpi intermedi. Tutt’al più li incontrano, ma non si confrontano. Ed a loro volta i corpi intermedi non si confrontano con le rispettive basi. In ogni organismo si moltiplicano le riunioni, prevalentemente inutili, in cui il vertice comunica alla base. Senza che quest’ultima possa incidere minimamente nelle decisioni finali. D’altronde gli imprenditori italiani avevano rifiutato di applicare i concetti della lean production, considerata troppo “giapponese” poiché coinvolgeva troppo i dipendenti e puntava sull’autorevolezza dei dirigenti invece che sull’autoritarismo padronale.
Però, tutto questo, i chierici della disinformazione continuano a definirlo “democrazia” da contrapporre all’autocrazia dei Paesi non atlantisti. L’importante è fingere di crederci.