La politica francese si italianizza, alla ricerca di un numero consistente di Scilipoti. Ma la politica italiana si francesizza? Per qualcuno potrebbe essere un bene guardare all’esito delle elezioni per l’assemblea transalpina. Con la speranza di ripetere l’exploit o di evitare gli errori. Anche se la politica italiana ha sempre guardato a Parigi con un misto di insofferenza, invidia, insicurezza.
Però, man mano che il sentimento europeista si diffondeva, anche le diffidenze lasciavano spazio all’interesse per le evidenti somiglianze. A sinistra, ad esempio, la pasticciatissima Nupes di Mélenchon (Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale) potrebbe rappresentare un monito per il Campo Largo di Enrico Letta. Una aggregazione meramente elettorale che non ha consentito di conquistare la prima posizione e la guida del governo e che, inevitabilmente, si squaglierà all’interno dell’assemblea perché le varie componenti non intendono affidarsi alla gestione di Mélenchon.
Forse, in cambio di poltrone e strapuntini, le componenti del Campo Largo accetterebbero invece la leadership lettiana. Ma la confusione sarebbe la stessa in uno schieramento che andrebbe dal confindustriale Calenda sino alla sinistra di LeU passando per l’uomo della finanza internazionale (Renzi) e le varie componenti piddine con una spruzzata di pentapoltronati in cerca di ruolo e stipendio.
Il risultato francese dovrebbe essere illuminante anche per destra e centrodestra. Con i Républicains, i forzisti in salsa bordolese, che svaniscono come neve al sole di questo torrido giugno. Pronti, però, a correre in soccorso dello sconfitto Macron pur giurando di voler restare all’opposizione. In realtà all’interno degli ex gollisti esiste una componente non irrilevante che preferirebbe un’alleanza a destra, con Marine Le Pen. Nella consapevolezza che la proposta moderata, centrista, atlantista e politicamente corretta non piace alla Francia profonda. Che resta a casa o vota premiando le ali estreme della politica per evitare di sprofondare nelle sabbie mobili del moderatismo al servizio delle oligarchie.
Quanto alla destra, la situazione è curiosa. Il Rassemblement lepeniano moltiplica per 11 i seggi rispetto alla scorsa legislatura. Però perde non pochi elettori tra primo e secondo turno ed il calo è ancora più evidente considerando che ai ballottaggi non c’era Zemmour, ossia il candidato più a destra. Di fatto Marine Le Pen ha rinunciato a far campagna elettorale nell’ultima settimana e questo è un aspetto curioso ed interessante: meno parla e più vince. Le destre italiane dovrebbero approfondire questo particolare.
Ma dovrebbero soprattutto rendersi conto che l’exploit del Rassemblement National è la conseguenza della rinuncia alla corsa verso il centro. Magari con posizioni discutibili, però evitando la palude moderata. Al centro non si vince. Il servilismo nei confronti dei poteri forti interni ed internazionale non paga in termini di consenso elettorale (magari a livello personale, ma è un altro discorso). Soprattutto Marine ha dimostrato che la diabolisation non è perenne, non è inevitabile ed insuperabile. Invece di pietire la benevolenza degli avversari, ha determinato la dédiabolisation proseguendo per la propria strada, tra litigi ed errori.
Ma il fronte anti Le Pen non ha funzionato in questo ballottaggio. Con grande dolore di Aurélie Filippetti, ex ministro socialista della Cultura, che ammette il fallimento dello sbarramento “democratico” contro la destra ed invoca un cambiamento del sistema elettorale in modo da bloccare il Rassemblement. Perché il problema non sono i programmi, il problema è impedire ai cittadini di scegliere liberamente. Sì, Francia ed Italia si assomigliano sempre di più.